Non ha raccolto finora molte recensioni locali il libro firmato dal governatore Ugo Rossi, omaggiato a Natale ai giornalisti trentini. Forse per il sospetto di un taglio propagandistico affidato ad un ghostwriter (“scrittore ombra”) o per la dichiarata ambizione di respiro nazionale (“è un libro sull'Italia, non sul Trentino”), con sottotitolo che suona peraltro autopromozionale: “L'autogoverno locale che fa bene al Paese”.
Eppure le 125 pagine di “Territori” (Maggioli Editore) sono sorprendenti poiché Rossi si fa leggere per freschezza e ingegneria politica, offrendo un contributo di pensiero raro nei leader pragmatici, utile al dibattito sugli assetti futuri delle autonomie, incoraggiato a inizio anno per il Trentino Alto Adige dal presidente del Consiglio Bruno Dorigatti in chiave “terzo statuto”.
Potremmo definirlo un documentato libro “dei sogni” (clamorosamente infranti a fine anno dalle dimissioni sfiduciate del “suo” direttore dell'Azienda Sanitaria Flor), ma anche i sogni possono servire a tracciare una prospettiva, soprattutto se partono da un'attenta analisi del contesto attuale – evidenziata dal “nostro” Paolo Pombeni nella presentazione – che vede in Italia un prepotente ritorno del centralismo, con il declino del ceto politico che lascia spazio a leaderismi e populismi.
In veste di politologo, Ugo Rossi si spinge ad avanzare una intrigante formula per superare quella che definisce “l'ubriacatura federalista” e il “miope neocentralismo”. Parla di regionalismo “a geometria variabile”, capace cioè di lasciare spazi e poteri a chi ha dimostrato di saperli usare nell'interesse del bene comune, tanto locale quanto nazionale, contenendo invece le realtà che non sanno “reggere” l'onere e l'onore dell'autonomia. Nel descrivere questa geometria individua l'esigenza di un rinnovamento delle “rigide” attuali regioni che punti sulla forza trainante dei territori, chiarisce che non tutte le autonomie speciali hanno saputo autogovernarsi bene, individua la fiscalità locale come risorsa per gestire in modo competitivo il territorio.
L'impianto sognato e disegnato da Rossi a beneficio nazionale (nel libro non parla tatticamente di Euregio, tema poco gradito a Roma) avrebbe bisogno di qualche correttivo di spessore comunitario. L'evocazione un po' generica del principio di sussidiarietà verticale – ecco una prima critica – dovrebbe contemperare anche una sussidiarietà orizzontale: cittadini dello stesso Stato (comunità di destini, per dirla con Weber citato da Pombeni) abbiamo doveri anche verso i più deboli dei territori più deboli. Il regionalismo alla Rossi dovrebbe tenere maggiormente in evidenza i requisiti della solidarietà e della reciprocità, dei quali la società civile trentina ha saputo dare grande prova.
Altri due appunti critici in salsa trentina: Rossi invoca più attenzione alla scuola e alla formazione, ma nella classe docente trentina sale il malcontento per il comparto manovrato dall'assessore-presidente attraverso i suoi dirigenti centrali. Esprime poi l'urgenza di una classe dirigente responsabile, ma non ammette che – a parte le rinate iniziative diocesane – gli spazi formativi alla politica sono ancora rari e non si riesce a preparare eredi per il futuro prossimo, un errore a suo tempo imputato anche a Lorenzo Dellai (fu lui peraltro a individuare nel Patt il segretario Rossi, come emancipatore delle stelle alpine).
Altri potranno scrivere sul Rossi-pensiero per sgonfiare l’enfasi teorica sui “Territori” e richiamare a sostanza concreta questa dimensione. Ma lo ammette implicitamente lo stesso Rossi quando – nelle conclusioni sulla sua “autonomia a vocazione maggioritaria” – scrive che rischiano di arenarsi gli stessi partiti territoriali “se al territorio non sanno dare anima e significato propulsivo” e gli stessi autonomisti “se rimangono prigionieri della recita di formule e di riferimenti che non sono in grado di storicizzare e di attualizzare“.
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