Non è stato un anno facile il 2015 sul piano della politica italiana e si conclude con una serie non piccola di incertezze. A dominare è stato lo sfaldarsi del panorama dei partiti così come ce lo aveva consegnato la cosiddetta seconda repubblica. I fatti elettorali della Francia e della Spagna hanno, in conclusione dell’annata, trasmesso l’impressione che in fondo siamo di fronte ad un fenomeno che ormai interessa se non tutta gran parte dell’Europa: i partiti si sfaldano, arrivano sulla scena nuovi soggetti che si fa fatica ad inquadrare nelle categorie tradizionali. Il mal comune non costituisce però in questi casi il famoso “mezzo gaudio”.
Il fatto è che siamo in presenza di due fenomeni concomitanti: da un lato l’acuirsi di fenomeni che testimoniano una transizione del mondo oltre gli antichi orizzonti (grandi migrazioni, modificazioni nel mondo del lavoro, crisi delle istituzioni, scontri”di civiltà”, e via elencando); dall’altro lato c’è l’inevitabile pressione del rinnovamento generazionale in un contesto in cui i vecchi non cedono il campo perché la vita si è allungata e la vecchiaia ha perso di senso e in cui di conseguenza i giovani premono per riprendersi in mano un futuro che, in definitiva, appartiene a loro.
In Italia questo, come si è già accennato, mette in crisi l’universo dei partiti che devono affrontare contemporaneamente i due versanti. Innanzitutto lo spaesamento dell’opinione pubblica di fronte ad una realtà sempre più tumultuosa induce il proliferare della politica come vendita di “tranquillanti” (che sono contemporaneamente anche “eccitanti”): quando le cose non vanno come si vorrebbe darne la colpa a qualche “diavolo” è sempre una soluzione buona per tutte le stagioni. Lo è anche usare la tecnica specularmente contraria: affermare che in fondo tutto va bene, consapevoli che anche quella è una forma di consolazione che trova orecchie attente.
I partiti hanno praticato con dovizia l’una e l’altra tecnica senza peraltro giungere a risultati molto soddisfacenti, se è vero che i sondaggi d’opinione danno una percentuale di astensionismo ormai stabilmente sul 40% a cui si aggiunge in genere almeno un altro 10% di indecisi. Del resto è difficile che sia attrattiva una politica che è sempre più organizzata come un’arena chiusa in cui competono tra loro i professionisti che di politica vivono. La lotta intestina che è stata presente tutto l’anno all’interno del PD non gli ha affatto giovato: il partito è sostanzialmente rimasto stabile intorno al 30% delle intenzioni di voto, mentre le fuoruscite non hanno determinato alcuno spostamento significativo di consensi.
Forza Italia è stata vittima del declino di Berlusconi e degli scontri interni fra i suoi colonnelli: si è passato l’anno a parlare di riprese più o meno clamorose, ma si è vista solo un’erosione di consensi e una sua marginalizzazione quanto a peso politico.
A crescere sono stati i due partiti nettamente populisti. La Lega a destra, il movimento Cinque Stelle in un terreno che è difficile etichettare come destra o come sinistra. Salvini ha portato il suo partito a diventare la calamita di molto malcontento, ma senza averlo trasformato in una forza in grado di imporsi sul sistema. Per pesare ha bisogna di inglobarsi la quasi totalità dell’elettorato berlusconiano, ma per il momento è ben lontano dal traguardo. Approfittare di ogni occasione per denunciare il presunto sfascio degli altri e la propria propensione a fare miracoli non è una tecnica di conquista del consenso che possa andare oltre certi limiti.
La vera incognita a questo punto sono i grillini. Saltiamo a pié pari la pletora di partitelli di destra, centro ed estrema sinistra che sono solo elementi di disturbo: nessuno di loro riesce neppure lontanamente a guadagnare un minimo di rilievo (al massimo possono imporre qualche piccolo ricatto). I Cinque Stelle sono un po’ cresciuti, ma soprattutto hanno stabilizzato la propria forza, tirando fuori un po’ di personaggi politici che stanno rapidamente imparando almeno alcune regole del gioco. In conseguenza hanno anche ottenuto qualche successo (per esempio nelle elezioni al CSM e alla Consulta) il che significa poter calamitare qualche sostegno in settori delle classi dirigenti alla ricerca di nuovi sponsor parlamentari.
In conseguenza di questa transizione non solo il sistema italiano è divenuto un’arena in cui la conquista del potere rimane incerta, ma quell’incertezza spinge a disgregare la sintonia d’azione, per quanto dialettica, dei vari organi decisionali del sistema (come ha rilevato il presidente Mattarella nel suo discorso del 21 dicembre). E questo è un segnale poco tranquillizzante.
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