Quanto sta succedendo a partire dallo scandalo innescato dal fallimento di quattro piccole banche non lascia tranquilli sullo stato di salute del nostro sistema politico. Certo la vicenda non è di quelle che ispirano sentimenti di ammirazione, ma da qui a farne un caso per gettare alle ortiche tutta la credibilità del sistema italiano in un momento delicatissimo ce ne corre.
Indubbiamente non può che stupire che quattro istituti di credito, da tempo oggetto di dicerie sulle loro pessime condizioni, abbiano potuto continuare a lungo a fare danni, senza che ci fossero i mezzi per intervenire. Purtroppo fa parte del nostro cattivo modo di ragionare l’alternarsi di una difesa acritica delle libertà dei privati, per cui non si potevano fare interventi d’autorità verso banche che appunto erano considerate imprese private, e la richiesta di addossare allo stato, cui si erano negati i mezzi per intervenire, la copertura delle perdite subite dai clienti di quelle imprese private.
Ovviamente un istituto di credito è sempre un soggetto che non dovrebbe essere trattato come una qualsiasi altra impresa, perché gestisce un bene costituzionalmente tutelato che è il risparmio, sicché lasciarlo affondare è complicato, ma in cambio di questa rete di sicurezza dovrebbe essere soggetto a vincoli pubblici stringenti.
Nel nostro complicato paese, da tempo si discute negli ambienti tecnici della necessità di intervenire su un sistema del credito troppo infarcito di piccole imprese retaggio di un’antica Italia dei cento campanili ed eredità di sistemi di finanziamento legati al notabilato locale espressione delle varie subculture politiche. Diciamoci la verità: ha fatto comodo a tutti lasciar stare e lasciar correre.
Adesso il problema è venuto a galla, perché si è scoperto, si fa per dire, che parte almeno di questi piccoli istituti di credito scialacquano il denaro che raccolgono nel sostegno ai loro circoli di riferimento, prendendo per buone imprese senza garanzie e abbondando in compensi ad azionisti, amministratori e funzionari che si sono rivelati degli inetti.
Su questo è facile essere d’accordo, ma da qui a trarne la conseguenza che sia una buona occasione per spargere fango a dritta e a manca ce ne corre. La circostanza per cui uno degli amministratori di una delle quattro banche è il padre della ministro Boschi ha dato la stura ad attacchi volgari e sconsiderati all’esponente del governo accusata, in maniera poco credibile, di essere intervenuta perché si intervenisse a copertura dell’impresa paterna. Di qui prima una mozione di sfiducia individuale promossa dal movimento Cinque Stelle, sempre pronto a montare campagne scandalistiche. A seguire una iniziativa di Forza Italia per chiedere che fosse sfiduciato il governo, con l’argomentazione che la Boschi sarebbe solo una comparsa, mentre Renzi sarebbe il vero responsabile di tutto.
Come non aspettarsi che in questo contesto il solito Salvini si buttasse ad accusare Renzi della responsabilità del suicido di un risparmiatore: una mossa francamente ripugnante per la violenza verbale e per il suo squallore speculativo (ma Salvini ha visto che fine ha fatto la Le Pen, che peraltro è assai più controllata di lui nel linguaggio?).
Nel momento in cui l’attenzione internazionale si appunta sulla Libia, cioè sul paese al nostro confine marittimo in cui noi siamo impegnati in difficili operazioni, è responsabile alzare polveroni di questo tipo? Far cadere Renzi in questo mare di fango che risultati ci darebbe? Sono domande retoriche, perché qualsiasi persona responsabile sa bene la risposta.
Del resto nessuno ha saputo dire cosa di diverso avrebbe potuto fare un governo in emergenze come quella di cui ci stiamo occupando. Il nostro sistema di governo del credito ha sicuramente delle pecche, ma non è azzerandolo che si risolverà il problema. Del resto il calcolo vero che fanno questi miseri strateghi politici è evidente: il governo non cadrà, perché ha i numeri per difendersi e dunque il sistema non verrà messo in crisi, ma intanto noi delle opposizioni ci facciamo belli denunciando presunte corruzioni, ergendoci a difensori dei poveri clienti depredati (tutti senza colpe?), sventolando per l’ennesima volta l’utopia di una politica che ricomincerà da zero.
Se qualcuno crede che questo cinismo ci porterà lontano, non capisce che sta giocando con un fiammifero vicino ad un bidone di benzina.
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