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Il continente africano, storicamente, ha sempre attratto sguardi rapaci dal resto del mondo per le sue innumerevoli ricchezze naturali: circa un terzo dell’uranio mondiale, metà delle riserve di oro, due terzi dei diamanti e il 10% delle riserve stimate di petrolio.
Ciò nonostante l’Africa continua ad avere gravi problemi sociali e economici: dei 42 paesi con basso indice di Sviluppo Umano classificati dal PNUD (Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite), 37 sono in Africa. La spiegazione della disparità è anche storica, visto che la maggior parte delle riserve naturali africane (incluso il petrolio) viene esplorata da compagnie straniere, grazie alle concessioni governative. Inoltre, i due terzi della popolazione vive ancora sotto la linea di povertà.
Questa situazione si riflette anche sullo scenario geopolitico e all’interno delle negoziazioni e discussioni della Conferenza ONU sul Clima (COP21), che si sta tenendo dal 30 novembre all’11 dicembre a Parigi. L’8 dicembre, durante l’Africa Day, si è tenuto il dibattito Getting Africa ready for the 2015 Agreement: Role of regional and international organizations (“L’Africa è pronta per l’Accordo del 2015: il ruolo delle organizzazioni regionali e internazionali”). Al tavolo della discussione erano presenti rappresentanti dell’ African Development Bank (AfDB), dell’ United Nations Economic Commission for Africa (ECA), dell’African Union Commission (AUC), della New Partnership for Africa’s Development(NEPAD), dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIT) e dei governi del Sudan e dell’Uganda, ma anche membri delle organizzazioni della società civile, come l’Alleanza per la Giustizia Climatica Pan-Africana.
Un osservatore attento noterebbe che, tra le decine di persone al tavolo, solo quattro erano bianche – i rappresentanti delle istituzioni finanziarie o politiche europee. Nonostante ciò il peso di queste istituzioni definisce in gran parte i destini del continente.
In generale, la maggior parte dei relatori ha evidenziato l’enorme rischio a cui l’Africa sta andando incontro ignorando i segnali e la necessità di adattarsi ai cambiamenti climatici. Tuttavia, approfittare di questo scenario potrebbe trasformarsi anche in una grande opportunità. “Gli INDCs (Intended Nationally Determined Contributions) possono essere un’ottima occasione di previsione degli investimenti per i prossimi 15 anni, ma abbiamo bisogno di andare oltre a questo periodo. Si tratta quindi di azioni a lungo termine la cui chiave di successo sarà determinata da dove questi investimenti saranno orientati”, ha affermato il rappresentante dellaBanca Europea riferendosi ai compromessi e alle azioni assunte dai 186 paesi del mondo per ridurre le emissioni di CO2.
Il direttore generale della OIT, a sua volta, ha evidenziato la sfida di implementare queste azioni in modo pianificato. “ Negli ultimi anni c’è stato un grande sviluppo nel continente africano, ma questo ha anche generato una alta percentuale di lavoro informale. Sappiamo che il cambiamento climatico aggraverà sempre più questi problemi. Quindi, è necessario creare opportunità di un nuovo mercato, sostenibile e anche egualitario.”
Augustine Njamnshi, dell’Alleanza per la Giustizia Climatica Pan-Africana, ha richiamato l’attenzione sul fatto che la popolazione dei paesi sviluppati non è chiamata a partecipare alle decisioni. “Gli agricoltori, le comunità rurali, le popolazioni di questi paesi fanno sacrifici già da anni”, ha detto. “Loro hanno a che fare con la questione del cambiamento climatico tutti i giorni. Per questo, l’implementazione di queste misure deve tenere conto del dialogo con la popolazione”.
Ha infine concluso dichiarando che “ciò che è fatto pensando per il popolo, ma senza sentire il popolo, non è fatto per il popolo”.
Juliana Santos
(Tradotto da Giulia Motta Zanin)
Agenzia di stampa giovanile
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