Anche il rito medioevale dell'apertura della Porta Santa ci è stato proposto in modo più essenziale da Francesco. Senza il martelletto che “bussava” all'uscio storico delle basiliche romane, Papa Bergoglio ha voluto sottolineare soltanto il gesto semplice, quasi leggero dell'apertura di ogni porta – sia nel cuore africano di Bangui che dentro l'abbraccio del Bernini a San Pietro – come simbolo eloquente del passaggio, della conversione. Un invito a non fermarsi all'esteriorità, compresa quella liturgica, bensì a penetrare i significati interiori di quel gesto, per scardinare piuttosto le nostre chiusure e le nostre resistenze.
Lo aveva esemplificato già nell'aprile scorso in quel formidabile vademecum che è la lettera “Misericordiae vultus” parlando dei carcerati: “Ogni volta che passeranno per la porta della loro cella, rivolgendo il pensiero e la preghiera al Padre, possa questo gesto significare per loro il passaggio della Porta Santa, perchè la Misericordia di Dio, capace di trasformare i cuori, è anche in grado di trasformare le sbarre in esperienza di libertà”.
Chissà allora cosa avranno pensato davanti a quelle immagini i detenuti di Spini di Gardolo, sostenuti dalla presenza di padre Fabrizio e degli altri volontari. O come avranno letto quelle parole i carcerati che attendono giustizia nelle carceri di Manaus, dove ricevono la visita del nostro missionario padre Gianni Poli…
“Entrare per quella Porta – ha spiegato Papa Francesco martedì – significa scoprire la profondità della misericordia del Padre che tutti accoglie e ad ognuno va incontro personalmente. Sarà un Anno in cui crescere nella convinzione della misericordia. Quanto torto viene fatto a Dio e alla sua grazia, quando si afferma che i peccati sono puniti dal suo giudizio, senza anteporre invece che sono perdonati dalla sua misericordia”.
Parole sante che spingono a ripulire certa predicazione “fissata” su criteri colpevolizzanti e respingono il rischio di sentirsi sempre “giudici degli altri” più che avvocati di misericordia, cioè testimoni della tenerezza paterna e materna di Dio.
Questo Giubileo per tanti aspetti straordinario non è solo per chi è ingiustamente “schiavo”. E non si esaurisce certo con la visita alla “Bonomelli”, storico asilo notturno in riva all'Adige dove domenica 13 dicembre mons. Bressan aprirà simbolicamente una porta di carità. E' lo stesso Arcivescovo a segnalarlo nella lettera per l'Anno Santo in cui ci invita a cogliere il valore personale del Giubileo, ma offre anche precise indicazioni alle comunità. Tra l'altro raccomanda uno spirito di pastorale d'insieme al quale anche i nuovi movimenti ecclesiali dovrebbero farsi sempre più attenti.
Merita attenzione anche l'insistenza sulle opere di misericordia correttamente intese, corporali sì ma anche spirituali, da guardare con uno spirito positivo, semina di speranza. E allora anche l'accoglienza ai profughi nelle vecchie canoniche, la destinazione della ex casa del clero in via Saluga, la vendita di Villa O Santissima ad una cooperativa sociale possono diventare gesti dal sapore giubilare, come ha ricordato don Andrea Decarli nella riflessione dell'Immacolata per il nuovo polo culturale. Che se sarà servizio della carità intellettuale potrà rivelarsi davvero un ambiente di relazioni rinnovate e di fruttuoso dialogo interculturale.
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