Il mal francese?

Non è una novità interpretare quanto avviene all’estero come un oroscopo sul futuro della nostra politica. Figurarsi nel caso delle elezioni francesi con la vittoria, discutibile, del Front National della Le Pen a cui dice di ispirarsi Salvini, onnipresente in talk show e media elettronici o stampati che siano. Peraltro qualcosa di simile ha fatto la sinistra quando il vento di Blair e compagni sembrava gonfiare le sue vele (o anche quando vinse Hollande alle presidenziali francesi), così come il centro destra cercò di intestarsi vittorie di forze supposte analoghe ad esso in Germania, Francia e Gran Bretagna.

Naturalmente si tratta sempre di propaganda politica che ha uno scarso se non nullo radicamento nella realtà, perché se c’è un fenomeno che risponde ad un complesso di peculiarità nazionali non ripetibili altrove queste sono le tornate elettorali. Nel caso specifico, cioè il successo del Front National alle regionali francese, per valutarne la portata sarà bene attendere il risultato delle urne al secondo turno, perché solo allora si vedrà se effettivamente la formazione della Le Pen sarà stata in grado di aggiudicarsi una vittoria e si potrà stabilirne i termini.

Quel che al momento appare interessante è il carattere tripolare che grosso modo interessa la politica francese: rozzamente, ma non infondatamente si può dire che le tre componenti si equivalgono, ciascuna intorno al 30% dei consensi. Anche la sinistra è grosso modo su quelle dimensioni, non fosse che è divisa fra il 23/24% dei socialisti e il restante 6-7% che va a formazioni radicali varie. Questa divisione indebolisce la sinistra più delle altre due componenti, e questo non è un fatto marginale. La sostanza che sembra intravvedersi è che sempre più si marcia verso il tramonto delle tradizionali “famiglie politiche”: il Front National non è la vecchia estrema destra, Sarkozy non è l’erede di De Gaulle e neppure del moderatismo francese, Hollande e il suo partito non sono in grado di far continuare a vivere il socialismo di Mitterand.

E’ questo il punto di maggior contatto della vicenda francese con il panorama politico italiano: anche noi siamo tripolari, sebbene nel nostro caso la disgregazione domini sia nel centrodestra che nel centrosinistra, mentre il terzo polo è dato da una forza totalmente nuova e senza legami col passato come è il Movimento Cinque Stelle.

La rapida crescita di quest’ultimo, almeno a stare ai sondaggi (di cui è sempre bene tenere un conto relativo), è un fenomeno interessante ed anomalo. Gli ex grillini (ex, perché ormai Grillo non li tiene più in pugno come in passato) stanno crescendo molto sul versante della politica parlamentare, cioè di quella da cui non dovevano farsi contaminare, mentre rimangono più che deboli sul terreno della politica locale. Il caso di Milano in cui hanno candidato una signora che, a meno di incredibili sorprese, non sembra proprio dotata dell’appeal per conquistare quella città, ma anche il caso di Bologna, dove per fare spazio ad un capo locale rinunciano di fatto alla possibilità di sfidare un sindaco uscente del PD che non è esattamente un gigante politico (e che è indebolito da una fronda di estrema sinistra piuttosto aggressiva), mostrano una carenza di capacità di produrre una classe politica che vada oltre la raccolta dei malumori verso l’attuale assetto del potere.

C’è da chiedersi come mai il maggior contendente, cioè il PD, non riesca a trarre beneficio dalla seria sfida a cui è sottoposta la sua egemonia. In genere, a fronte di queste condizioni si mettono da parte le lotte intestine nella consapevolezza che prima bisogna tenere il campo e che si penserà solo a vittoria ottenuta a regolare i conti interni.

Il centrodestra in questa fase sembra avere assunto la posizione del terzo che gode dello scontro fra i due litiganti. Certo Salvini non sta con le mani in mano, ma si preoccupa più di consolidare la sua quota allargata di consensi che non di ampliarla per cercare la vittoria elettorale: probabilmente capisce che è rimasto prigioniero del suo estremismo verbale, sicché retrocedere su quel punto non gli farebbe guadagnare molti consensi moderati, mentre farebbe allontanare le solide schiere forgiate dal suo verbo populista.

Insomma gli eventi francesi andrebbero letti più come stimolo a riflettere su come siamo ridotti noi che non come oroscopo sul nostro futuro.

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