Stile sinodale? E’ quello di Firenze

Un delegato trentino rilegge l'esperienza del Convegno Ecclesiale come esempio efficace di una modalità ben precisa

A Firenze un mantra circolava nelle discussioni dei 200 tavoli da dieci delegati che erano chiamati a declinare, spezzettare, masticare una delle cinque dimensioni scelte per il Convegno: "stile sinodale". Ricordo di aver sentito chiaro il desiderio che questo atteggiamento fosse applicato durante il Convegno dalla bocca di Mons. Nunzio Galantino in un breve colloquio avuto in giugno in occasione del comitato preparatorio a Roma. "Non sto parlando di un Sinodo – ci tenne a precisarmi – ma di uno stile di discernimento comunitario che dovrà interessare tutta la Chiesa Italiana a partire dalle diocesi”. E così è stato. Ma cosa significa "stile sinodale" ? "Lavorare tutti insieme, sullo stesso piano, cum Petro et sub Petro", per dirla ancora con Galantino. A guardar bene l'indicazione parte da più in alto, dallo stesso Papa Francesco che il 17 ottobre rivolgendosi ai vescovi per il Sinodo sulla famiglia definiva la sinodalità come "dimensione costitutiva della Chiesa".

A dire la verità credo che nessuno abbia ben chiaro cosa significa,  in concreto, stile sinodale. E chi conosce i termini precisi è portato a precisare che per fare un vero Sinodo ci vogliono condizioni precise, in qualche modo non ordinarie. Ma credo che il lavoro del Convegno sia stato un esercizio collettivo, magari rudimentale e poco cosciente, di questa nuova sensibilità sinodale. Non credo si possa liquidare come una “diversa modalità operativa” il modo in cui si è svolto il dibattito: duecento vescovi, mille laici insieme a di sacerdoti e religiosi, si sono distribuiti in tavoli piccoli, dove ognuno è stato “costretto” a dire la sua, a fare le sue considerazioni, ad avanzare le sue proposte. In quattro fasi, con la raccomandazione ai facilitatori di far parlare tutti. 8000 interventi, più o meno. Tutti sullo stesso piano. Vuoi vedere che abbiamo utilizzato uno stile sinodale senza nemmeno sapere cosa fosse ? Secondo me è proprio così ed è stata una bella esperienza. Solo un po’ breve…

Al termine della seconda sessione, quando i gruppi avevano cominciato a "produrre", ad "ingranare", c'era un po' di rammarico. Scambio di indirizzi di posta elettronica, così potremo restare in contatto… Non succederà, perché il vortice delle incombenze quotidiane risucchierà ognuno, ma è bello che ci sia la voglia. Le relazioni finali, non scritte prima, come qualcuno temeva ma frutto di due livelli di sintesi, risultano un po' "diluite" e non rendono giustizia alla concretezza delle proposte emerse. Spero che negli Atti del convegno da pubblicare (“Presto, anzi prestissimo”, ha detto il card. Bagnasco) vengano valorizzate anche le 200 relazioni dei tavoli, oggetto di un'analisi ulteriore. Ora i delegati, in particolare Vescovi e componenti dei Consigli Pastorali Diocesani, si trovano ad una scelta: considerare questa esperienza di Chiesa come un arricchimento personale, o come un “incarico” a far si che le affermazioni condivise al Convegno (“questo è un punto di partenza e non il punto di arrivo di un cammino”) si trasformino in azioni concrete, dentro le regioni rcclesiastiche, le diocesi, i consigli pastorali e soprattutto le comunità.

Non possiamo permetterci che l’energia sollevata nel corso del Convegno venga dispersa come polvere che si posa di nuovo al calare del vento. Non dobbiamo permettere che fra dieci anni, quando – forse – si organizzerà il prossimo Convegno Ecclesiale, si debba ripartire dicendo: “questa volta non succederà come a Firenze, Verona, Palermo, ….” quando tutto si è smorzato in poche settimane. Lo dobbiamo alle nostre comunità.

Pierino Martinelli*

*delegato triveneto nel Comitato preparatorio di Firenze 2015

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