“Urge un accordo tra sunniti e sciiti in Iraq”

“L’Isis non verrà mai fermato se non si risolve la situazione politica in Iraq, dove dopo il 2003 è partita la guerriglia degli arabi sunniti contro l’occupazione del Paese da parte degli Stati Uniti e dei loro alleati e contro l’espansione del dominio degli arabi sciiti e dei curdi”.

Secondo Domenico Tosini, docente di sociologia all’Università di Trento ed esperto di terrorismo, per contrastare l’Isis occorre superare la logica dei bombardamenti e puntare invece l’attenzione su “un lavoro di intelligence e di diplomazia per favorire l’equilibrio interno tra sunniti e sciiti in Iraq”. “Il movimento fondamentalista di al-Qaida – ricorda il professor Tosini – si è alimentato proprio del malcontento dei sunniti umiliati e marginalizzati dalle spinte dei governi autoritari sciiti, anche e soprattutto dopo il ritiro americano dall’Iraq nel 2011”.

Come è cambiato il volto del terrorismo islamico dopo l’11 settembre?

“Il nucleo dell’Isis nasce in Iraq come emanazione di Al-Qaida. Con il tempo, dopo fratture ideologiche e organizzative, si è trasformato in una sorta di metastasi, di rete di gruppi affiliati con gli ex militari di Saddam o altre milizie locali, declinati a livello territoriale a seconda degli interessi e delle circostanze come nel caso di Iraq e Siria. Da questi Paesi parte poi l’offensiva contro altri nemici esterni”.

Tra le novità tattiche colpisce il reclutamento di giovani combattenti in Europa. Come farvi fronte?

“Oltre a rafforzare l’intelligence, l’Europa deve attuare efficaci politiche di integrazione e di inclusione. I gruppi jihadisti fanno leva sui disagi, sui problemi di identità e sui risentimenti di alcuni giovani di seconda generazione, peraltro una minoranza poco istruita, che cercano il loro riscatto in Iraq e in Siria, da dove poi, addestrati e indottrinati, rientrano in Europa per farsi esplodere come martiri”.

Quali altre differenze tra Al-Qaida e Isis?

“L’uso massiccio del web e dei social network per diffondere il messaggio apocalittico di una grande guerra finale, nel Levante, per rigenerare l’islam dal loro punto di vista. Inoltre, Isis può contare su risorse economiche in crescita soprattutto grazie al controllo dei pozzi petroliferi nella zona di Mosul, a nord dell’Iraq”.

E i bersagli nel mirino del sedicente Stato islamico?

“I nemici da combattere sono tre: il primo sono gli occidentali, i cosiddetti infedeli, che interferiscono nel mondo mussulmano; il secondo sono i regimi apostati considerati devianti rispetto al vero Islam, si va dalla Tunisia all’Egitto e all’Iran e il terzo nemico sono gli arabi sciiti, che per gli estremisti sunniti sono una serpe in seno al ‘loro’ autentico islam”.

Quali errori non deve commettere l'Occidente, l'Europa in primis?

“Deve evitare di bombardare questi Paesi (l’intervento in Iraq insegna) e di criminalizzare la comunità islamica nel suo complesso, altrimenti si alimenta la propaganda jihadista di una nuova crociata, il reclutamento e la logica della guerra simmetrica dei terroristi che reagiscono con azioni come quella di Parigi”.

La comunità islamica che ruolo gioca in questo contesto?

“La stragrande maggioranza dei mussulmani è disgustata, condanna e non si riconosce nell'autoproclamato Stato Islamico. I mussulmani, che ricordiamolo contano il maggior numero di vittime negli attentati, sono i primi ad avere l'interesse a isolare le persone violente. Sarebbe auspicabile poi che Arabia Saudita e Iran trovassero un accordo per il controllo dell'area”.

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