“Guarigione”, Pier e le voci notturne del Santa Chiara

Piergiorgio Cattani. Foto © Gianni Zotta
Dopo alcuni volumi di filosofia e teologia e qualche acuminato saggio di politica nostrana, Piergiorgio Cattani ci sorprende con un testo autobiografico in cui senza alcun velo racconta per la prima volta la sua disabilità, il suo rapporto con gli operatori sanitari, la sua visione della morte (e della vita). E lo fa d’impeto ma anche con esemplare misura, senza “caricare” le situazioni e tanto meno esibire la sua “specialità”, documentando le disavventure di “Un disabile in codice rosso” (il sottotitolo di questo instant-book pubblicato dagli amici de “Il Margine” col titolo “Guarigione”). A ben guardare Pier non parla solo di sé, ma di tante altre persone con disabilità alle prese con diagnosi ritardate, interventi d’urgenza, prove di pazienza e di speranza. Anzi, descrive forse anche ognuno di noi quando – durante un ricovero dalle prospettive incerte – proviamo sulla nostra pelle la pesantezza di un ambiente spesso non attento alle esigenze d’umanità di ogni paziente.Il nostro apprezzato collaboratore, titolare da qualche settimana del dialogo i lettori, lascia scorrere la sua vena giornalistica (Cattani è anche direttore della testata online unimondo.org), facendosi cronista puntuale di incontri, dialoghi ed emozioni dal 21 agosto 2014 fino alle tormentate dimissioni dell’aprile scorso dal Santa Chiara, l’ospedale che dista curiosamente pochi metri dalla sua abitazione.La scrittura è precisa e asciutta, equilibrata anche nelle fasi più angoscianti, utile a capire i diversi punti di vista: il paziente, scaraventato d’improvviso in un’emergenza percepita negli occhi atterriti dei familiari, ma anche gli altri soggetti stretti attorno a Piergiorgio. Senza appesantire il testo di complicati referti medici (che peraltro gli offrono a distanza di mesi la primaria fonte di documentazione), Cattani ci fa entrare negli aspetti medico-psicologici della sua patologia congenita, la distrofia muscolare di Duchenne, da molti scambiata sbrigativamente con una sclerosi laterale amiotrofica che invece colpisce le persone in età adulta.

Il racconto è avvincente come una fiction (in questi casi la realtà supera la fantasia dei serial televisivi) e incalzante per la sua crescente carica emotiva, molto di più di un reportage. Spalanca la realtà dal punto di vista della persona fragile, in difficoltà, considerata senza voce in capitolo e talvolta anche sentimenti. Piergiorgio è disarmato e disarmante, ma si fa involontariamente paladino di tanti disabili nelle sue stesso condizioni, senza gli strumenti di una scrittura incisiva, graffiante, a tratti giustamente lapidaria.

Il prologo dedicato alla “fase terminale” e l’epilogo intitolato paradossalmente “Guarigione” incorniciano il racconto in una riflessione esistenziale che si sofferma sullo spazio d’incoscienza, “il nulla che sporge sull’essere”. Qui, senza voli pindarici resi impossibili dalla criticità degli istanti vissuti anche inconsciamente in sala operatoria, Cattani distilla pagina per pagina le sue acquisizioni di cercatori di risposte, filosofo inquieto, credente nonostante tutto. Davvero, un grillo parlante sulle nostre sicurezze e sull’umanissima paura della morte.

Ma le pagine di “Guarigione” squadernano anche altri temi sospesi fra relazione, etica e sanità: il rapporto medico -paziente, la struttura sanitaria e i suoi operatori, le dichiarazioni anticipate di trattamento per il fine-vita, l’accanimento terapeutica, l’assistenza spirituale del paziente. E, ancora, il valore delle amicizie, la sororità-fraternità e la riconoscenza ai genitori espressa in una toccante lettera: “con calma, avete scelto per il mio bene”.

Un libro sul quale si potrebbe costruire un seminario di deontologia medica, o un corso di formazione per operatori sanitari e volontari. Un racconto crudo e talvolta anche crudele, tragico ma mai disperato, complessivamente edificante come il suo titolo. “In ospedale – ecco un passaggio di pag. 36 che può essere la chiave di lettura – bisognerebbe abituarsi a prendere ogni avvenimento con tranquillità e spirito di sopportazione, sapendo che ogni diagnosi nefasta non è mai completamente tenebrosa, come ogni sicurezza nasconde dentro si è quel margine di rischio capace di capovolgere qualsiasi positiva speranza”.

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