La strage di Parigi è stata un evento così drammatico che c’era da attendersi una reazione prolungata e dai toni forti. Altrettanto da attendersi che non sempre il senso della misura abbia prevalso: al di là degli speculatori di professione (ne troviamo fra politici, giornalisti, predicatori di varia natura), troppi hanno discettato solo sull’onda delle emozioni. Conviene invece analizzare il problema con la necessaria freddezza, altrimenti non si riuscirà a capire.
La prima questione riguarda l’annoso tema della “guerra” che sarebbe in corso. Se prendiamo il tema in un senso generale, cioè come sinonimo di uno scontro che trascende la dimensione del conflitto fra gruppi criminali e uno o più poteri pubblici, può essere anche accettato, perché qui abbiamo davanti qualcosa di diverso da criminali comuni. Se invece vogliamo assumerlo nel significato proprio, quello dello scontro fra due entità che possano essere soggetti riconosciuti nel consesso internazionale, è una definizione assolutamente impropria, perché né gli attentatori di Parigi né il sedicente stato islamico lo sono.
Bisogna tenere conto che i terroristi cercano sempre di essere riconosciuti come “controparte”. Si ricordi quanto avvenne proprio in Italia con le Brigate Rosse (e altre sigle) o cui membri catturati si dichiaravano “prigionieri politici”, disconoscevano l’autorità dei tribunali, volevano negoziare alla pari in materia di ostaggi. Altrettanto cercarono di fare i palestinesi dell’OLP prima che venisse fondato e riconosciuto il loro regime con capitale Gaza. Dunque non stupisce che l’Isis faccia di tutto per ottenere questo status, tanto più che esso è riuscito anche ad occupare fisicamente e ad esercitare sovranità su una porzione significativa di territorio collocato fra Siria ed Iraq.
Non è però assolutamente conveniente cedere a questa pretesa che gli strateghi dell’Isis cercano di imporre con la forza, mostrando che il loro potere di comando si estende ben oltre le loro frontiere. Ciò a cui si mira è esattamente ottenere che l’occidente scenda ufficialmente in guerra contro il loro sedicente stato, perché questo servirebbe a convalidare la loro tesi secondo la quale si sta ripetendo il tentativo dei “crociati” di riconquistare e sottomettere le terre islamiche. E se riescono a far convalidare quella tesi diventerà quasi d’obbligo per i mussulmani sparsi nel mondo occidentale partecipare a questo scontro per la difesa delle loro radici sia territoriali che religiose e culturali.
Soprattutto Obama è ben consapevole di dove miri questo disegno e perciò non vuole spingersi fino a far diventare la guerra una guerra “regolare”, cioè con l’impiego di truppe di terra. Tuttavia è una illusione pensare che i bombardamenti aerei possano sia sottrarsi alla definizione di “guerra”, sia che essi non possano esser sfruttati propagandisticamente per il reclutamento di combattenti/resistenti. Anzi proprio alcuni caratteri dei bombardamenti si prestano alla tesi dei “crociati” che massacrano indifferentemente donne e bambini (perché in quel tipo di guerre non c’è distinzione fra “fronte” e territorio civile distinto da esso).
Qui arriva la seconda e ancor più complicata questione: come sarà allora possibile isolare la azione di terroristi nei territori degli stati coinvolti nella guerra o nella repressione che dir si voglia? I miti sono sempre difficili da combattere perché sono irrazionali e dunque non si smontano con la ragione. Contrastare la loro “predicazione” è molto difficile in paesi occidentali dove il principio della “libertà di opinione” si è dilatato al massimo tanto che è divenuto praticamente impossibile sanzionare quelle che una volta erano “apologie di reato” perché si pensa che farlo significherebbe ripristinare la aborrita categoria dei “reati di opinione” (l’abbiamo visto anche di recente).
Non è un caso che il presidente Hollande abbia toccato il tema della riforma delle garanzie costituzionali di libertà in un paese dove questo tema era tabù. Sappiamo che negli USA è già avvenuto col “Patriot Act” approvato dopo l’attentato alle Torri Gemelle e non senza portarsi dietro il problema di abusi.
E’ su questi terreni che le nostre analisi politiche devono avventurarsi senza cedere né ai semplicismi della difesa acritica di pseudo-ragioni imposte da quello che si definisce il “politicamente corretto” né agli isterismi di quelli che vedono la soluzione di tutto nell’accelerazione dello scontro militare.
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