In questa pagina, di cinema e comunicazione mediatica, è entrato sei anni fa, con leggerezza e profondità, Davide Zordan, com'era il suo stile, il tratto distintivo.
Amava il cinema e lo studiava, cercando in esso i riflessi di bellezza, le tracce antiche e sempre nuove che dicono il bisogno e l'esperienza di Dio dell'uomo. Amava il grande cinema spirituale – Tarkovskij, il suo Autore – ma guardava con altrettanto interesse e curiosità i film commerciali, cercando anche in essi la traccia di un sentiero che pur invaso da rovi era presente e fino a un certo punto percorribile. Così su queste pagine ha recensito Habemus Papam di Moretti, A Serious Man dei fratelli Coen, ma anche Avatar o il Noè vegano di Ridley Scott, perfino Twilight. Scriveva con una facilità estrema, di getto. Diceva che si divertiva.
Camminava in alto ma con semplicità, reggendosi in equilibrio tra mondi diversi, come seguendo le intersecazioni di opposti, il declinarsi del religioso nella contemporaneità. Senza ideologia, la pienezza dell'umano come cartina di tornasole. Scriveva tanto – basta scorrere l'elenco pubblicato nel sito della Fondazione Bruno Kessler dove lavorava dal 2002 come ricercatore e poi docente – ma sentiva l'urgenza di motivare il lavoro dotto in un ambito di nicchia come la teologia, cui la modernità non sembra riconoscere ragioni. Perché era teologo, Davide Zordan. In una stanza buia. Filosofia e teologia in dialogo (FBK, 2014) è il titolo del libro che ha scritto insieme al collega e amico fraterno Paolo Costa. Era arrivato a consegnare il testo definitivo, nel luglio 2014, poi la prima aggressione violenta del male che domenica scorsa ha messo a segno il suo ultimo attacco. Lascia la moglie Lucilla, il piccolo Federico, i genitori Maria e Luciano, le sorelle Francesca e Cinzia. Ma mancherà a molti.
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