La quarta tappa di avvicinamento all’oramai imminente convegno a Firenze ci chiama a riflettere sul verbo “educare”.
Educare: compito prioritario della famiglia, condiviso (e spesso delegato con superficialità) con le cosiddette “agenzie educative” quali la scuola, la parrocchia, lo sport ed anche con i vari mezzi di comunicazione. Questi, grazie alle nuove tecnologie, danno l’illusione di essere sempre connessi con tutti, ma rischiano di amplificare l’individualismo, abituando a relazioni “virtuali” nelle quali, specie tra i più giovani, esperienze fondamentali quali l’amicizia o l’innamoramento sono spesso vissute, nella solitudine, davanti allo schermo dello smartphone!
Come Chiesa, dovremmo prendere consapevolezza che educare a scelte responsabili è divenuta una vera e propria emergenza. Non è più il tempo di affidare l’educazione all’assimilazione passiva di concetti, che riguarda la sfera della conoscenza, ma invece recuperare il ruolo fondamentale della coscienza nella costruzione della propria identità, promuovendo la capacità di pensiero e di giudizio critico. Educare diventa quindi un'arte e una sfida che la Chiesa non può lasciarsi sfuggire, Lei che per prima si è lasciata educare dal suo Signore, che attraverso la sua umanità ha formato uomini e donne dai grandi ideali capaci di donare tutta la vita.
C’è urgenza di persone coerenti intelligenti e creative, capaci di intessere relazioni vere e significative, soprattutto con le nuove generazioni, ed in grado di trasmettere quella capacità di spendersi in relazioni solide e durature, alimentate dal dono gratuito di sé e cementate dall’accoglienza e dal perdono…
Chiara Campolongo e Chiara Fedrizzi Gadotti
Da alcuni anni il Centro Ecumenico Diocesano investe in educazione. Proprio perché, in questo contesto sempre più multireligioso, anche la dimensione della fede sembra necessitare di una costante riformulazione. Tutto è nato dal tentativo di far convergere la dimensione del “dialogo per fede” – e quindi non semplicemente come risoluzione di emergenze – con le sollecitazioni e le inquietudini dell’oggi in una società plurale, dando «ragione della speranza che è in noi» (1 Pietro 3,15) attraverso un percorso pedagogico “per fede”, connaturato alla sequela cristiana, lungi da facili irenismi o da semplicistiche strumentalizzazioni.
A tutto questo, s’aggiungono tre motivazioni storiche: la vicenda dei tre cappadoci che dal quarto secolo intrecciano legami con l’oriente cristiano; la triste storia del piccolo Simone e il rapporto ricostruito con l’ebraismo; il Concilio Tridentino e la vocazione ecumenica affidata a Trento da Paolo VI.
Questo patrimonio ci ha sollecitati a sperimentare come educare voglia dire tante cose, ma come sostanzialmente significhi rendere possibile, credibile ed efficace un Annuncio: “tirar fuori” il meglio da ognuno per offrire passi di speranza, superare la mediocrità, opporsi al fanatismo e alla volgarità. In una parola, l’educazione trasforma in meglio la vita quotidiana. E anche la fede.
Il Centro s’è dunque mosso, su richiesta del mondo scolastico, offrendo piccoli percorsi.
I ragazzi, ma anche gruppi parrocchiali, scout, famiglie, vengono accolti affidando loro il primo compito: raccontare la religione con le parole. È il primo passo per aiutarli a comprendere il senso di un vocabolario pulito e onesto; si tratta quasi di una sorta di verifica per cogliere dalle parole dove e come si parla di fede nella vita quotidiana, in famiglia, a scuola, nel gioco, sulla stampa.
Conoscere diventa l’unico veicolo per superare gli stereotipi, per demolire le barriere, per costruire identità sempre più ospitanti. Se troppe volte il dialogo diventa difficile lo è anche perché mancano basi di conoscenza e una gerarchia delle verità: se noi non conosciamo chi siamo, come facciamo a relazionarci con gli altri?
L’incontro prosegue entrando nella parte più didattica alla scoperta delle religioni, dando importanza soprattutto alle tradizioni professate dai ragazzi. A seconda dell’età questa diventa la parte più interessante, grazie all’attrattiva suscitata dalla mostra sui monoteismi abramitici. Angoli colorati, arredi, libri, oggetti, sono in grado di descrivere le religioni, la diversità dei profili, come pure gli intenti comuni, facendole diventare fattori importanti, di qualità, in grado di dare senso all’esistenza. La fede diventa occasione di vita comune, di armonia e di comprensione, non quindi un muro o un limite sociale.
Seduti attorno alla Scatola del dialogo, ecco, infine, la consegna degli impegni: i dieci oggetti del baule servono ad evidenziare le responsabilità di ciascuno nella vita di tutti i giorni. Una candela, per mantener viva la speranza; una lente, per superare la superficialità; un dizionario, per evitare volgarità e pregiudizi; un boomerang, per responsabilizzare parole e gesti… Il valore positivo della fede, il rispetto dell’opinione altrui, il bisogno di conoscenza, una maggiore attenzione alla vita, la condivisione degli elementi essenziali, si trasformano in piccoli impegni che ognuno è chiamato ad esprimere, diventando azioni concrete e non semplicemente sermoni degli adulti.
Il forte coinvolgimento delle scuole – oltre un centinaio di classi all’anno anche da fuori regione – parte dagli insegnanti di IRC ma coinvolge sempre più i docenti delle diverse materie, diventando in alcuni istituti una tappa annuale preparata sin dai primi giorni, e in taluni casi addirittura condivisa dalle famiglie. Tutto ciò per testimoniare quanto la fede stessa sia esperienza educativa, e non semplicemente un assolvimento di precetti. È il motivo per cui questo servizio potrebbe esser riscoperto come parte di quell’Annuncio che sollecita testimonianza di cose nuove, in grado di rendere divino l’umano che è in noi.
Alessandro Martinelli
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