Elogio della calligrafia

Dalla casuale scoperta in cantina di un manuale di calligrafia la scintilla che ha acceso la passione di una vita. Trasmessa anche nei lunghi anni di insegnamento elementare

“Accipicchia, ma se sbagli, usi la cancellina?”. Alla domanda, posta in maniera diretta e con sincero stupore da uno studente, segue una risposta altrettanto diretta e chiara: “Non l’ho mai usata e l’ho sempre proibita anche i miei scolari”. ”Oggi ho imparato una cosa importante!”, è la conclusione dello studente. Lo scambio di battute è andato in scena all’ombra del monumento a Dante, in occasione dell’evento che un paio di settimane fa ha proposto la riscrittura su carta pergamena della “Divina Commedia” (vedi VT n. 42/2015). Protagonisti, uno degli studenti del Liceo “Da Vinci” di Trento che hanno letto alcuni passi della Commedia dantesca e il maestro in pensione Vincenzo Rizzonelli, 35 anni di insegnamento, di cui ben 23 alle storiche elementari “Crispi”. Grande appassionato di calligrafia, Rizzonelli si è prestato volentieri ad illustrare con svolazzi ornamentali il frontespizio del manoscritto che cominciava a prendere forma, suscitando grande interesse e curiosità in chi passando in piazza Dante si soffermava nei pressi di quel banchetto improvvisato per improvvisati amanuensi.

Maestro Rizzonelli, da dove nasce questa passione per la calligrafia?

“Dentro di me ho sempre sentito il desiderio di esercitare questa 'arte gentile'. Fin da piccolo osservavo attentamente la scrittura di mio nonno, di mio padre, delle mie zie maestre. A diciassette anni per caso nella cantina di mia zia trovai il manuale di calligrafia del professor Francesco Lamanna. Era in condizioni pessime: puzzolente, ingiallito dal tempo, ammuffito. L’ho lasciato all’aria aperta per una settimana, poi ho iniziato a ricopiare i caratteri stampati”.

Con quali strumenti?

“Prima con l’inchiostro per stilografica, poi con il pennino e l’inchiostro a china nera. Su carta normale all’inizio, poi su pergamena”.

Come ha nutrito la sua passione?

“Frequentando le biblioteche: la Comunale di Trento e quelle dei Cappuccini alla Cervara e dei Francescani in via Grazioli, ricca di incunaboli. E con l’avvento di Internet ho potuto avere accesso alle biblioteche di tutto il mondo alla ricerca di testi miniati. Passo molto tempo ad osservare le miniature medievali e i testi manoscritti del rinascimento, per carpirne la tecnica”.

Quale forma di scrittura La appassiona di più?

“Quella gotica quadrata, in tutte le varianti. L’esercizio continuo e la costanza mi hanno permesso di acquisire una buona sicurezza nell’esecuzione”.

Come ha trasmesso questa sua passione agli scolari?

“Adottando un testo che aveva i capolettera ben decorati e a colori. Gli alunni provavano a ricopiarlo, introducendovi qualche variante, con la loro creatività. Oggi sono diventati genitori e trasmettono questa ‘eredità’ ai loro figli”.

Penna e calamaio con inchiostro di china hanno destato interesse e curiosità all'evento della “Scriptura Dantis”.

“Io ho sempre voluto che i miei alunni scrivessero con la stilografica o con la penna sferografica. La penna biro non 'aiuta' la calligrafia”.

E perché?

“Dipende dal materiale usato. L’inchiostro della penna stilografica è fluido, facilita il tratteggio delle lettere, ne agevola la concentrazione”.

Anche la “cancellina” era un tabù nelle sue classi…

“Sì, l'ho abolita, anche se ciò provocava qualche malumore verso il maestro. Ma l'attenzione aumentava. Ora i miei ex alunni mi ringraziano, perché ho creato più sicurezza e responsabilità”.

La “bella scrittura” non è anacronistica nella “Buona scuola” di oggi?

“Faccio presente che nei paesi asiatici la calligrafia ha un valore culturale elevatissimo. Le lezioni di calligrafia si prolungano ben oltre i primi anni della scuola primaria e ci sono corsi di calligrafia anche per adulti. Negli Stati Uniti è acceso il dibattito sull’insegnamento della calligrafia nella scuola primaria, a causa delle pressioni esercitate dalle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione”.

Qualcuno le vede come una vera e propria minaccia per la calligrafia.

“Insegnanti e studenti sono divisi sul valore dell’apprendimento di una calligrafia scorrevole, elegante, esteticamente piacevole, in un’epoca in cui il computer, i tablet (le “tavolette”) e le tastiere dei cellulari sembrano aver reso inutile l’esercizio della scrittura a mano con la penna. Nella scuola regna una logica semplificativa: al primo ostacolo, non si reagisce, lo si aggira. Se uno scolaro ha difficoltà a leggere viene subito bollato dislessico”.

E che può fare il maestro?

“Segue lo scolaro con pazienza riuscendo ad evitare che l’alunno entri in una spirale da catalogazione e da esonero dalla sue capacità. Scrivere in stampatello e togliere il corsivo è più facile e veloce, ma è sbagliato. Scrivendo in corsivo ognuno di noi può esprimere la propria personalità, evita di omologarsi”.

Ma oggi tutti scrivono al computer pigiando sui tasti o muovendo un dito su schermi sensibili al tocco.

“Io il computer lo uso, ho pure tenuto di lezioni di informatica ai miei colleghi, ma ho conservato la mia manualità nella scrittura in tutti gli stili. La tecnologia è un aiuto, ma non sostituisce la mia creatività”.

Quindi vale ancora la pena spendere del tempo per insegnare a scrivere?

“Io sono del parere che questo esercizio non soltanto perfeziona le competenze manuali, ma contribuisce ad acquisire una maggiore scorrevolezza della scrittura e della lettura, ad accrescere la propria personalità”.

Che fare per sostenere corsivo e calligrafia nella scuola?

“La psicologia viene in aiuto a giustificare la sua importanza. Lo stampatello seziona in lettere, spezzetta il pensiero, nega il tempo. Il corsivo così come lega le lettere, lega i pensieri. Il corsivo (dal latino “currere”, “che corre” o “scorre”) è moderno, semplice ed efficace. Purtroppo mancano gli insegnanti”.

Quante pergamene ha vergato per matrimoni e battesimi, quanti diplomi e attestati?

“Ne ho perso il numero! Mi hanno procurato tante soddisfazioni, provo piacere a vederle incorniciate e forti emozioni a farle. Ma non ho mai voluto accettare un compenso: la soddisfazione non si mercanteggia!”.

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