Dalla collaborazione tra la filo San Genesio e il gruppo “Oasi” un'apprezzata esperienza teatrale che coinvolge anche ragazzi diversamente abili. “Ma ancora pochi teatri ci considerano”, commenta la coordinatrice Alda Faes]
[Un teatro “altro”, concepito come sfondo integratore e collante delle diversità sociali arrivando a trasformare “l’arte” sul palco in “terapia”
Sua intenzione non è spargere polemiche, nonostante l’accavallarsi di voci “fuori dal coro”. Perché quando si accenna al teatro il suo primo pensiero è rivolto ai ragazzi diversamente abili seguiti e coordinati dall’associazione di volontariato cui appartiene, la “Oasi Valle dei Laghi” con sede a Lasino.
Nel 1999 l’incontro con la Filodrammatica San Genesio di Calavino che darà vita a una proficua collaborazione teatrale antitetica a quegli esecrabili pregiudizi provenienti dalla strada e magari finiti anche implicitamente in platea. I ragazzi riescono a esprimere del loro meglio, sprizzano entusiasmo da ogni poro quando a cimentarsi sul palco affiancati dagli attori della compagnia e dal capannello di volontari a loro più vicini le lancette dell’orologio sembrano scorrere in fretta ingannando l’attesa.
Dimostrano che “insieme si può”, che la messa in scena di uno spettacolo teatrale arricchisce indistintamente e a vicenda tutti loro. Il pubblico di casa risponde bene a questo nuovo modo di fare teatro, caso unico nel suo genere in tuta la nostra penisola. “Lavoriamo insieme ormai dal 2000 – racconta la coordinatrice Alda Faes – e pensiamo di aver costruito un progetto fantastico che riesce a includere i nostri ragazzi oltre a dare messaggi positivi ai giovani e a chiunque vede la nostra commedia brillante e sicuramente di qualità, al pari di quelle di tante altre filodrammatiche”.
L’allusione è all’ultimo spettacolo intitolato “Na crociera de.. sogno!” debuttato nell’estate di due anni addietro tesaurizzando l’esperienza pluriennale di “Progetto Teatro” dal quale l’allargamento degli orizzonti occupazionali dei ragazzi con opportunità di integrazione sociale, mantenimento e sviluppo delle capacità relazionali in una prospettiva di normalizzazione e benessere condiviso. La San Genesio indaffarata nella programmazione quando, in cambio, ogni singolo caratterista accanito nella memorizzazione del copione ripete le gestualità e impara ad allestire le scenografie.
Un teatro “altro”, concepito come sfondo integratore e collante delle diversità sociali arrivando a trasformare “l’arte” sul palco in “terapia”, a debita distanza da meri scopi estetico produttivi, ma con i limiti personali di ognuno trasformati in risorsa collettiva tanto da trasporre l’emozione del pubblico in platea oltre la “quarta parete”.
“Ma purtroppo non riusciamo a farci considerare come le altre filodrammatiche e quindi anche quest’anno nelle varie rassegne teatrali trentine noi non riusciamo a farci invitare e ci chiediamo come mai”, constata Faes. E rincara la dose: “Ci invitano nei soliti teatri dove ci conoscono e sanno che diamo molto al pubblico, mentre in tutti gli altri è difficile entrare, quando sentono che gli attori sono anche persone diversamente abili”.
Avanti silenziosamente, ma senza schermaglie deleterie perché c’è bisogno di tutto tranne che di spaccature interne al mondo dello spettacolo. “È solo una riflessione su come sia difficile fare accettare le diversità di qualunque tipo in questa nostra società”, taglia corto Alda Faes indorando la pillola, comunque amara.
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