Matteo Renzi ha portato a casa la riforma del senato (ma servono altri due passaggi parlamentari)
Dunque Matteo Renzi ha portato a casa la riforma del senato: almeno questo è quello che si prevede, perché tecnicamente l’approvazione del 13 ottobre è solo un passaggio verso la legge costituzionale. Ce ne devono essere altri due: la Camera deve votare quel testo senza modificarlo, ma questo è dato pre scontato alla luce dei numeri di cui il PD gode alla Camera grazie al premio di maggioranza. Poi toccherà di nuovo al Senato che non può modificare il testo (che peraltro sarà quello approvato lo scorso martedì) a meno di non far saltare tutto. Solo a quel momento, si ritiene intorno ad aprile del prossimo anno, la riforma sarà legge costituzionale.
La vittoria del riformatore Renzi è però al momento virtuale, perché sul suo cammino si presenteranno due scogli tutt’altro che facili da aggirare. Il primo è la legge di stabilità, cioè il programma economico del governo; il secondo è il passaggio delle elezioni amministrative di primavera.
Il primo punto sulla carta non dovrebbe dare troppi problemi. Renzi distribuisce agevolazioni e aiuti, dunque non sarà facile per nessuno votargli contro, almeno nelle fila dei partiti fra il centro e la sinistra moderata. Possono esserci sceneggiate da parte delle componenti più movimentiste, ma non sembra possano essere in grado di metterlo più di tanto in difficoltà.
Ciò che rende incerto il panorama è che anche questo passaggio si inserisce all’interno del trend che sta stabilizzando il potere dell’attuale premier. Renzi appare sempre più come il politico che realizza ed anche quei settori delle classi dirigenti che non lo amano (e non sono così pochi) si arrendono all’idea che a lui non ci siano alternative se si vuol uscire dalla vecchia palude dell’incapacità politica di scegliere e decidere. Di conseguenza però i suoi avversari, dichiarati o occulti che siano, nella prospettiva per loro vitale di ridimensionarlo non rinunciano a mettergli i bastoni fra le ruote: cosa non difficile da fare in una legge di stabilità, in cui è semplice infilare provvedimenti che favoriscano questo e quello appesantendo il conto che poi dovrà pagare il governo (in realtà poi che dovremo pagare tutti noi cittadini).
Ad incentivare queste pratiche, che sono peraltro normali in tutti i passaggi delle leggi finanziarie, arrivano però le scadenze elettorali, con la grancassa mediatica che è assicurata ad esse dalla rilevanza della vicenda di Roma. In questo frangente Renzi rischia grosso perché quella prova sta assumendo il significato di un test per la validazione della nuova leadership nazionale. Il problema è che gli elettori votano per il sindaco della loro città e non per dare fiducia al premier: se il candidato sindaco del PD non piace, se non raccoglie abbastanza consenso personale, è dubbio che venga votato solo per fare un favore all’inquilino di palazzo Chigi.
Qui Renzi gioca una partita con le mani legate, perché controlla male le dinamiche locali del PD e perché non potrà evitare di passare per le forche caudine delle primarie. Queste sono meccanismi di selezione dei candidati piene di trabocchetti e poco funzionanti. Per mobilitare elettorato devono puntare su personaggi simbolici e “da palcoscenico” per cui sono fortemente condizionate dai media, che in generale non sono dei gran supporter dell’attuale premier. In più in quel genere di consultazioni il ruolo più forte è giocato dagli elettori più radicalizzati che non ragionano in vista di raccogliere un consenso vasto alle elezioni generali, ma con l’obiettivi di imporre il loro candidato duro e puro. Non stiamo parlando in astratto, ma con davanti quello che è successo in un numero non banale di primarie.
In tutte le città simbolo della futura tornata amministrativa, con la sola eccezione di Torino, il PD non è in condizioni di vantaggio: per motivi diversi a Milano, Bologna, Napoli, quel partito si trova a fronteggiare disturbi sulla sua sinistra e scarso entusiasmo nell’elettorato di centrosinistra. Servirebbero candidati che trascinano il consenso, ma sono assai difficili da trovare, anche perché il mestiere del sindaco è molto faticoso e assai poco gratificante (anche in termini di successiva carriera).
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