La seconda via, o “verbo tematico”, su cui la Chiesa italiana si interroga per riproporre “in Gesù Cristo un nuovo umanesimo” è il verbo annunciare.
Per essere comunità di annuncio del Vangelo le nostre comunità dovrebbero essere evangelizzate, cioè cambiate dentro dal Vangelo che hanno accolto e che vivono, da Gesù Cristo che hanno incontrato; quanti nostri cristiani, anche impegnati nelle attività parrocchiali, hanno questa gioia che traspare da renderli testimoni del Vangelo? Questa è la scommessa per annunciare il Vangelo in un mondo complesso e disincantato, che è capace di svuotare di senso anche le parole più dense di significato come lo stesso termine Dio e suoi “derivati”.
Vi è in atto nella nostra realtà ecclesiale una revisione costruttiva delle forme di annuncio e di catechesi in riferimento alle diverse età e condizioni di vita? Il contributo dell’Ufficio catechistico della Diocesi di Trento: la trasmissione della fede è prima di tutto profezia e pratica di umanità…
L'Ufficio Catechistico della Diocesi di Trento nel ripensare l’annuncio in questi ultimi anni, non ha potuto che partire mettendo al centro la persona, superando un'evangelizzazione che si riduce all'insegnamento, dove “chi sa” parla a “chi non sa”.
Sempre di più all’annunciatore è chiesto di lasciarsi coinvolgere con passione da ciò che annuncia. Chi scopre per primo la gratuità di Dio, non può che proporre il vangelo attraverso la gioia dell’incontro che ha vissuto.
Dietro una certa fragilità educativa che si respira nei nostri ambienti parrocchiali, sta una svalutazione dell’umano, perché il contenuto è proposto come esterno alla vita. Non è un passaggio scontato infatti nel momento in cui per tanti anni la catechesi è sempre stata vista come un momento in cui al di sopra di tutto vi era un insegnamento del contenuto. Del resto, quest’ultima via può ancora affascinare, perché risulta apparentemente più immediata e più fruttuosa; in realtà, ci si accorge presto che, senza un coinvolgimento personale, nessun contenuto può raggiungere l’altro, tanto meno un contenuto di fede.
Se il centro su cui lavorare nel rivedere l'annuncio è il diventare “più umani”, il punto da cui partire è imparare a riconoscere la presenza di Dio nell’umano e riscoprire l’umano segnato da Cristo. Questo significa anche riconsegnare al linguaggio della vita tutta la sua bellezza e la sua forza. Si è constatato però che, nonostante molti tentativi di formazione, anche un cristiano che si impegna verso altri nell'annuncio non sempre sia in grado di leggere la Bibbia come un evento, prima di un libro; come la rivelazione di Dio all’uomo e dell’uomo all’uomo, prima che un insegnamento morale; come la storia di alleanza tra Dio e l’uomo, prima di un racconto del passato.
Tendere verso questo cambiamento nell'annuncio porterà anche a un cambiamento del volto della Chiesa da Chiesa-azienda a Chiesa-famiglia. Il passaggio da una fede più legata al culto ad una che riscopre la profondità (interiorità) e libertà (gratuità), plasmerà il modo con cui la Chiesa abita il suo territorio.
Le persone, specialmente quelle che riprendono o riprenderebbero il percorso cristiano, non sono attratte da una Chiesa-azienda, ma potrebbero esserlo da una Chiesa-famiglia: non è la smania delle iniziative, ma è la cura delle relazioni che può sfondare il muro dell’indifferenza e incontrare quel germe di interesse che spesso si annida nel cuore delle persone.
Risulta quindi fondamentale dare parola alla vita del laico, perché anche il sacerdote possa riscoprire l’indole “secolare” della fede cristiana, cioè il suo legame con l’umano. Uomini e donne che abitano case, piazze, strade, affetti, fragilità, feste, tradizioni possono aiutare la Chiesa a ritrovare il vangelo dentro gli ambienti di vita, verso un annuncio che assuma in pieno l’alfabeto della vita umana e così possa ancora far risplendere, come vivo e contemporaneo, il volto di Cristo.
Da qui può partire ogni criterio per ripensare l’annuncio della fede, per ripensare in fondo il modo di essere comunità cristiana dentro un determinato territorio: la trasmissione della fede è prima di tutto profezia e pratica di umanità. La Chiesa può ancora essere segno di attrazione quando rivela la qualità antropologica dei suoi gesti, attraverso i quali traspare l’umanità nuova che è Cristo.
Il rinnovamento della catechesi non può che partire dal dare il giusto valore ai problemi e alle risorse degli uomini e delle donne nella loro vita quotidiana, coinvolgendoli in prima persona, da protagonisti. In altre parole si tratta di ripensare l'annuncio con le persone che incontriamo nelle nostre comunità parrocchiali.
In quest'ottica la Diocesi di Trento da alcuni anni sta rivedendo le proposte di annuncio, secondo queste direzioni:
·Semplificazione della formazione e della proposta: non semplicismo, ma orientamento di ogni proposta attorno all’essenziale, Gesù Cristo, morto e risorto, presente nella storia, che posso incontrare grazie ad una comunità;
·Attenzione privilegiata, dove possibile, al mondo adulto;
·Accompagnamento dei catechisti delle medie in vista del passaggio nei percorsi di pastorale giovanile;
·Centralità della Parola di Dio: la prima competenza di un cristiano è saper leggere il Vangelo in maniera corretta;
·Diversificazione dei percorsi: per chi chiede gesti umili e semplici di accoglienza (genitori), la comunità può offrire un coinvolgimento più esperienziale; per chi cerca una formazione più approfondita, percorsi di introduzione alla lettura della Parola;
·Apertura di uno sportello ad hoc per le famiglie con figli disabili/per i catechisti con ragazzi disabili nel gruppo;
·Superamento della formazione per settori pastorali (catechisti, ministri comunione, ecc), privilegiando la situazione di vita (adulto/ragazzo/bambino);
·Collaborazione con altre realtà diocesane e locali, perché l’annuncio nasca dalla carità: la prima forma di annuncio è la carità, il dono, il fare per qualcuno.
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