Una famiglia di Volano racconta l’esperienza vissuta nel progetto Caritas “Rifugiato a casa mia” con due giovani del Mali. Che oggi lavorano con profitto nel panificio di Volano
Mpaly, 22 anni, un viso rotondo e bonario, parla a voce bassa. Yaya, 20 anni, fisico scattante, è più spigliato. Arrivano dal Mali, vivono a Volano in un appartamento a pochi metri dal panificio Vivori e Cainelli, dove lavorano: il primo si alza alle 3 per fare il pane, il secondo attacca il turno alle 8, perché si dedica a focacce e pizzette. Nel tempo libero giocano a calcio nel San Rocco, il più giovane in attacco, l’altro in difesa.
Questa è la nuova vita di Mpaly e Yaya oggi. Solo tre anni fa la loro esistenza era dall’altra parte del Mediterraneo, in Libia, dove entrambi erano giunti dopo un viaggio terribile attraverso il deserto, in fuga dalla guerra. Come tanti altri, hanno tentato la traversata con una “carretta del mare”. Prima tappa Lampedusa, poi il centro di accoglienza di Marco e gli appartamenti Atas a Trento.
In mezzo a questi due spezzoni di vita si inserisce l'incontro decisivo con la famiglia Cainelli – Gianni, 69 anni, la sorella Piera, 70, e la moglie Carmen, 65 – che avevano avviato con Mpaly nel giugno 2013 il progetto “Rifugiato a casa mia”, lanciato dalla Caritas a livello nazionale per dare vita a un'accoglienza diffusa di rifugiati e titolari di protezione internazionale. Un’iniziativa sperimentale che hanno accettato di condividere anche sulle pagine di Vita Trentina per segnalare ad altri che un'avventura di convivenza così, non solo è possibile, ma anche arricchente.
“Eravamo entrambi pensionati e i nostri figli sono grandi. Nell’appartamento avevamo spazio”, spiega Carmen. L’accoglienza è di casa nella famiglia di Volano: due bambini indiani adottati, tanti missionari di passaggio per qualche giorno e Piera che, negli anni, ha trasformato il suo panificio in un’isola multietnica. “Ho iniziato nel 1986 con un ragazzo marocchino, poi c’è stato un albanese e adesso lavorano qui come stagisti anche Komol del Bangladesh e Bakari del Mali”, racconta la titolare. “Siamo abituati a questo bel via vai di persone”, aggiungono i Cainelli.
Mpaly, che in Libia vendeva profumi, ha subito dimostrato buona volontà e doti da panettiere. “Non è mai arrivato in ritardo e adesso è in grado di fare praticamente tutto, dal peso della farina all’impasto”, dice orgogliosa Piera. I due anni trascorsi con i Cainelli sono stati scanditi da numerosi scambi culinari: mamma Carmen ingolosiva il suo ospite con polenta, lingua e purè, lui rispondeva organizzando cene a base di pollo e agnello speziati.
Tra i momenti più emozionanti del progetto, non dimenticano il primo contatto via Skype di Mpaly con la mamma in Africa. “Non si vedevano in viso da tre anni ed è stato molto toccante”, racconta Carmen. “Mi sono presentata e prima di salutarla quella donna mi ha raccomandato di sorvegliare suo figlio. Non importa in che continente si nasce, le preoccupazioni di una madre sono sempre le stesse”.
“Ovvio che questo progetto richiede impegno, ma la soddisfazione di sapere i ragazzi sereni è una ricompensa enorme”, prosegue la padrona di casa. E in ottobre la famiglia Cainelli si è allargata. È stato Mpaly a segnalare che l’amico Yaya, conosciuto durante la permanenza a Trento, è alla ricerca di una sistemazione. “Non c’è nulla di straordinario in quello che abbiamo fatto”, afferma Gianni. “In tv si vedevano cose orribili, persone trattate come numeri. Noi ci siamo messi nei loro panni e abbiamo deciso di rimboccarci le maniche. Ne è uscita un’esperienza arricchente anche dal punto di vista della fede”.
Ogni sera, infatti, mentre Carmen e Gianni recitavano il rosario, Mpaly e Yaya stendevano il loro tappetino e pregavano rivolti verso la Mecca. Il loro lavoro in panificio proseguiva anche durante il ramadan. “Non so come facciano a rimanere concentrati con questo buon profumo di pane essendo a digiuno”, riflette Piera.
La presenza dei due africani con il grembiule e il berretto bianchi ha indotto qualche cliente a cambiare negozio, ma la maggior parte degli avventori ha accolto i nuovi dipendenti come una novità positiva. “Siamo sicuri che il razzismo sia un problema che verrà mitigato con il tempo e con l’andare delle generazioni”, sostengono i Cainelli, augurandosi che altre famiglie lagarine si mettano in gioco accogliendo i richiedenti asilo.
Mplay e Yaya ora vivono da soli, ma le occasioni di rivedersi on mancano: a breve, una cenetta per inaugurare il nuovo appartamento. Carmen e Gianni sono curiosi di sapere che cosa bolle in pentola: “Speriamo non esagerino con le spezie”, dicono scherzando. I due giovani maliani, però, non svelano nulla del loro menù: “Sarà una sorpresa”.
Lascia una recensione