Sulla collina sopra Trento la singolare esperienza di imprenditoria agricola di Claudia Casagrande. “Noi donne possiamo dare un approccio più poliedrico all’agricoltura”
Trento, 21 settembre – “Ma se l’immagina? Ospitare gruppi di turisti nelle nostre case rurali in collina, e farli arrivare nel cuore di Trento, in piazza Duomo e poi magari fino al Muse, attraversando le campagne, passando in mezzo ai vigneti che da Povo e Villazzano scendono degradando fino ai margini della città”. Claudia Casagrande, imprenditrice agricola, racconta il suo sogno e gli occhi le si illuminano. “Davvero, mi piacerebbe tanto, ma temo che questo mio sogno lo realizzerà mia figlia”, osserva poi con voce appena incrinata dall’amarezza, pensando ai momenti di incertezza e di difficoltà della sua esperienza imprenditoriale, peraltro ricca di soddisfazioni, anche se spesso frenata dai troppi lacci di una burocrazia a volte incomprensibile. Ma è solo un attimo e si riprende con la briosa consapevolezza che la contraddistingue. “Davvero, immagini che modo diverso di arrivare in città per scoprirne le bellezze da un punto di vista inconsueto”, rimarca. E’ facile farsene un’idea, gettando lo sguardo oltre i filari della campagna dei padri Venturini, per abbracciare la città. Qui, proprio in cima alla salita di via dei Giardini, Claudia Casagrande ci accoglie nell’ultimo giorno di vendemmia per raccontare le vicende della sua azienda agricola medio-piccola – come ce ne sono tante in Trentino, dove la proprietà terriera è estremamente frazionata, ma con qualcosa in più. Sì, perché se è vero che la coltivazione della vite è nel Dna di famiglia – la sua azienda agricola, che ha sede a Povo, prende il nome dalla nonna Giulia Anna Manci, che lasciò la terra ai figli e alle figlie -, è vero anche che da principio gli studi e l’attività professionale di Claudia Casagrande presero tutt’altra traiettoria. “Io avrei voluto frequentare la facoltà di agraria, ma a Trento non c’era e così ripiegai su radiologia”. Al diploma seguirono gli studi di sociologia, dettati… anche dal cuore: “Mi ero fidanzata e non volevo andare fuori città a studiare”, spiega con semplicità. Se non che, un bel giorno a San Michele all’Adige partì il corso di laurea in enologia e viticoltura. Così, a 40 anni, d’accordo con il marito – “Non gli ho chiesto il solitario, ma la possibilità di fare quello che volevo davvero, cioè agraria” -, Claudia Casagrande torna alla passione giovanile, studiando prima a San Michele e concludendo gli studi a Udine, nel 2004. “Ero un po’ la zia nel gruppo degli studenti, ma alla fatica di riprendere sui libri, dopo anni, ho supplito con l’esperienza. E finalmente avevo i titoli per gestire la mia azienda agricola”, osserva soddisfatta. Alla campagna di famiglia a Povo si aggiungono prima un appezzamento a Ischia di Pergine, acquistato per coltivare uve base spumante pinot nero conferite alle Cantine Ferrari e, nel 2006, grazie all’aggiudicazione di un bando dei padri Venturini, l’affitto di un vigneto che i padri non erano più in grado di seguire. “Credo che a convincerli sia stato il fatto che la mia azienda agricola era già orientata verso il biologico”, osserva Claudia Casagrande. Accanto a lei, il venturino padre Luigi Tognon annuisce col capo: “Ci siamo trovati subito in sintonia, abbiamo lo stesso rispetto per la terra, che poi si traduce in un rispetto per l’uomo”. “Il biologico ormai in Trentino non è più una nicchia, penso alle scelte recenti della Cantina di Toblino e a come si sta orientando un gruppo importante come le Cantine Ferrari, che nel 2017 saranno certificate interamente biologico”, spiega Claudia Casagrande, aggiungendo che la scelta di indirizzarsi verso il biologico e verso un certo tipo di trattamenti (“Qui al più utilizziamo zolfo e rame”) nasce anche prima di tutto dal rispetto per chi in campagna ci lavora. “Noi in mezzo ai filari ci stiamo dalla mattina alla sera, siamo i primi a beneficiare di un ambiente più salubre”. Ecco spiegata anche la cura del terreno coltivato a sovescio, così da arricchirlo in modo naturale dando nutrimento alle viti, e la presenza delle pecore nere di razza Nana d'Ouessant “che sono i nostri tosaerba”.
C'è stato da rimboccarsi le maniche, a mettere mano ai vigneti di via dei Giardini. I filari erano vecchi e così la decisione fu quasi naturale: via tutto, furono piantate viti a guyot. “Abbiamo cominciato con una parte dell'appezzamento e l'anno dopo abbiamo completato dall'altra. Mia nonna mi ripeteva sempre che bisogna fare il passo secondo la gamba… e io non sono molto alta (ride). E le banche ci sono, ma poi ti stanno addosso”. Coraggio, un po’ di misurata incoscienza, tanto sudore (“Eh, sì – osserva – la campagna è anche fatica: quando sui giornali si parla di agricoltura vedo troppi quadretti edulcorati, e poi i giovani si fanno idee sbagliate”). Ma le soddisfazioni già arrivano. “Il vino prodotto qui, che abbiamo chiamato ‘I padri’, l’abbiamo portato a diverse mostre del biologico e ha vinto dei premi”.
Ma è remunerativo, chiediamo, produrre uva da vino? Claudia Casagrande ci pensa un attimo, poi risponde con schiettezza: “La remuneratività è un problema. La mia famiglia aveva sempre conferito l'uva alla Cantina Lavis, io ero socia. Ma a marzo di quest'anno ho preso la decisione di uscire. Ora conferisco direttamente a Ferrari, mentre le uve Traminer e Sauvignon che produco a Ischia le porto sempre a Lavis, ma alla Cantina Monfort”.
Maggiore remuneratività vuol dire maggiori guadagni e maggiore possibilità di investire nelle idee che Claudia Casagrande sforna a getto continuo, come sanno le colleghe dell’associazione “Donne in campo”, di cui fa parte dal 2003, che l’hanno voluta a Expo Milano 2015 per raccontarsi, insieme ad altre 12 donne imprenditrici agricole da tutt’Italia. “Credo che la donna possa dare un approccio più poliedrico all'agricoltura”, afferma, buttando là l'ultimo progetto a cui sta lavorando, quello di un “Biopark” in un bosco abbandonato nel Perginese nel quale con poesia, amore e professionalità lei e un vicino hanno realizzato un parco valorizzando le specie autoctone. “L'idea è sempre quella di una sinergia e di un equilibrio con l’ambiente”.
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