Una fase conclusiva nel percorso delle riforme?

Il Pd gode del fatto di non avere opposizioni che possano realmente presentarsi come alternative

Dopo l’esito della direzione del PD del 21 settembre, quasi tutti i commentatori ipotizzano l’avvio di una fase conclusiva nel percorso renziano della riforma del senato. Più che mai leader del suo partito e anche troppo consapevole di esserlo (se si risparmiasse qualche sceneggiata sopra le righe farebbe un salto di qualità), Renzi ha inchiodato il PD a riconoscere che più ci si avvita sui tecnicismi (strumentali) di una riforma che alla gente interessa pochissimo, più si mette a rischio la posizione assolutamente privilegiata di cui gode in questo momento.

Il segretario non ha torto quando ricorda che mai il suo partito è stato tanto forte: al di là delle percentuali di consenso (al momento affidate a sondaggi non sempre affidabili) gode del fatto di non avere opposizioni che possano realmente presentarsi come alternative. Salvini ha un radicalismo esasperato buono per le comparsate televisive, ma poco adatto per raggiungere la maggioranza relativa. I grillini sono in crescita, ma, al di là delle speranze di qualche intellettuale che non sopporta che Renzi non sia quello che adempie le sue passate profezie sul futuro del nostro sistema politico, non sembrano ancora in grado di uscire dal recinto della protesta a sfondo utopico.

Le cose possono naturalmente cambiare, ma al momento è così. Per questo il segretario-premier può mettere il suo partito brutalmente di fronte all’alternativa: volete continuare nel giochino delle contrapposizioni astrattamente ideologiche sulla riforma del senato, o preferite trarre vantaggio con me della possibilità che abbiamo di presentarci come il partito che ha tirato fuori l’Italia dalle secche di una grave crisi? Si può obiettare che c’è un forte tasso di “narrazione” nel presentare queste alternative, ma è difficile negarne l’efficacia.

L’opposizione interna ha ovviamente capito l’antifona. Cuperlo è stato molto dialogante, D’Attorre ha fatto una scenetta su chi è veramente di sinistra ma ha lasciato il tempo che trovava, gli altri si sono semplicemente sfilati, o essendo presenti e stando zitti (tipo Speranza), o essendo impegnati altrove (tipo Bersani). Sandra Zampa, che non è ascrivibile alla minoranza dem, ma che certo non è una “renziana”, ha con franchezza invitato a considerare cosa avrebbe significato per il PD far passare la riforma con voti determinanti provenienti dal centrodestra.

Tutti sanno che questo rischio esiste davvero e che il suo avverarsi non porterebbe certo del bene alle posizioni del partito. Renzi poi ha abilmente concesso una piccola vittoria di maniera ai suoi oppositori garantendo che, se non si pretendeva di mettere in discussione l’impianto della riforma, un modo per introdurre un simulacro di elezione diretta dei futuri senatori si poteva trovare. E’ scontato che non sarà più che un simulacro, perché una vera elezione diretta con soli 95 posti disponibili, per di più con alcune categorie vincolate (quelli con la qualifica di sindaco) assomiglierebbe nelle attuali condizioni ad una corrida. Non ne potrebbero certo beneficiare né gli attuali pasdaran anti Renzi né i loro amici, non fosse altro per l’ampiezza di consensi che sarebbe necessario raccogliere. Assai più facile che in una corrida delle genere finiscano favoriti Salvini e Grillo.

Dunque si troverà un compromesso di facciata, che in realtà rimandi alla gestione dei “listini” (questa la probabile soluzione) da parte degli equilibri di partito. Questo però se l’Aula non riserverà sorprese, perché le opposizioni hanno una occasione troppo ghiotta per mettere in scena una battaglia all’ultimo sangue, anche se, per varie ragioni, quelli che la vogliono portare in fondo sono in numero ridotto per lo scopo. Tuttavia la politica assembleare è sempre un fenomeno poco facile da tenere sotto controllo.

Renzi ne è consapevole ed infatti la sua irritazione verso il presidente Grasso (irritazione che ha sbagliato a far trapelare platealmente) nasce dalla scarsa fiducia in questo “impolitico” (imposto da Bersani a suo tempo) come gestore del probabile marasma parlamentare.

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