La santità, fine ultimo di ogni cristiano, vissuta secondo lo spirito rosminiano. Al 24° convegno sacrense anche un gruppo di ascritti trentini
Il fine ultimo di qualsiasi cristiano – sacerdote, religioso o laico – è la propria santificazione, che si raggiunge non mediante sforzi personali, ma attraverso l'aiuto (la grazia) di Dio. È questo in sintesi il messaggio emerso dal 24° convegno sacrense, dal titolo “Chiamati alla Santità”, tenutosi alla Sacra di San Michele, in Piemonte, nelle giornate del 10 e 11 settembre. Luogo suggestivo, l'antica abbazia benedettina, sulla cima del monte Pirchiriano, fu donata al beato Antonio Rosmini nel 1836 dalla famiglia Savoia; l'Istituto dei Rosminiani la custodisce tutt'ora.
Il convegno – a cui hanno partecipato dodici relatori in rappresentanza di ogni ordine e grado del mondo rosminiano – ha offerto delle riflessioni sulla santità vissuta al giorno d'oggi, secondo la spiritualità rosminiana. Hanno sorpreso in modo positivo le affermazioni di una coppia di ascritti dell'Istituto della Carità, Giorgio Salzano ed Elena Mannucci, insegnanti, che nella loro esperienza di sposi hanno messo in evidenza un aspetto in genere poco considerato, eppure efficace, del matrimonio cristiano. In base alla “Filosofia del diritto” di Rosmini, il “fine primario del matrimonio – ha affermato Mannucci – è quello di promuovere la perfezione morale degli sposi, e solo in un secondo momento quello di mettere al mondo la prole”. In pratica, moglie e marito sono chiamati a sostenersi a vicenda nella maturazione personale, perché solo una famiglia ricca di forza morale è in grado di accogliere ed educare dei figli. La costanza nell'amore, che richiede tempo, non è raggiungibile con il solo sforzo personale, è grazia di Dio attraverso i sacramenti, nel caso specifico il sacramento del matrimonio. “Il cattolicesimo possiede questa forza morale”, ha sottolineato la coppia.
Il codice di diritto canonico – come ha ricordato padre Claudio M. Papa, postulatore della causa di Rosmini – indica la santità come lo “stato proprio di ogni fedele cristiano”, in forza del battesimo. “Si tratta dell'incontro con Dio, che fa fare cose grandi”, ha aggiunto padre Claudio. Infatti, per il Rosmini, far dipendere la santità dalle nostre azioni significa “stravolgere completamente l'ordine della carità”. Questo vale anche per i consacrati, i pastori in genere, e per i parroci, la cui pastorale deve essere “carità pastorale” e non solo “pastorale”, se non la si vuole ridurre a semplice “azione amministrativa”, come ha sostenuto don Edoardo Scordio, parroco rosminiano di Isola di Capo Rizzuto. “In ogni momento, non solo durante la messa, il parroco agisce in Persona Christi – ha aggiunto – non può esserci carità se non si cura l'essere umano in ogni suo aspetto, come fa Gesù”. Al convegno erano presenti anche dieci ascritti trentini, cinque da Rovereto e cinque del Circolo “A. Rosmini” di Borgo, nato nel 2007.
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