L’idea è rivolta a piccoli produttori. Offrire a pagamento frutti lasciati in pianta oltre il punto di maturazione commerciale. Rischiando gli inconvenienti della sovramaturazione. Gli esperti di S. Michele possono fornire indicazioni
“Chi ha avuto la fortuna di gustare una mela, una pera, un’albicocca, un grappolo d’uva rimasti sulla pianta dopo aver raggiunto lo stadio ottimale di maturazione fisiologica ha certamente apprezzato la sostanziale differenza di sapore, colore e aspetto rispetto alla frutta raccolta allo stadio di maturazione commerciale”.
Inizia così una nota che ci ha sottoposto Danilo Bettini di Nogaredo. Laureato in Scienze agrarie all’Università di Padova nei primi anni ’60, all’interno della struttura amministrativa di quella Provincia si è occupato di assistenza tecnica in agricoltura, divulgazione e promozione di prodotti agricoli, organizzazione di servizi televisivi di informazione ed educazione dei consumatori, raggiungendo i vertici della carriera. L’invito rivoltoci è di divulgare il suo progetto denominato “Frutta matura sull’albero”. I destinatari della proposta sono, a suo dire, piccoli agricoltori anche a tempo parziale che hanno campagna prossima a strade frequentate, titolari di agriturismi o di aziende didattiche che intrattengono rapporti con clienti fissi o gruppi di acquisto organizzati.
Il proponente insiste nell’affermare che il progetto è solo abbozzato e ha bisogno di una serie di verifiche di carattere organizzativo ed economico, ma soprattutto scientifico. Auspica pertanto, anzi sollecita, il supporto della Fondazione Mach. E’ infatti a conoscenza dell’attività di ricerca e innovazione che si svolge a S. Michele. Il lavoro svolto per la provincia di Padova gli ha dato modo di seguire in particolare i risultati ottenuti dal Dipartimento alimentazione e qualità e del gruppo di analisi strumentale e soprattutto sensoriale mirate alla valutazione e valorizzazione dei prodotti dell’agricoltura trentina, freschi e/o trasformati, ma anche rivolte a misurare con metodi e attrezzature moderne il riscontro gustativo sui consumatori.
Mancando il supporto della ricerca applicata, il progetto rischierebbe di apparire un invito a riprendere antiche usanze che pure hanno un fondamento storico, ma non sono più sostenibili economicamente.
Alla fine dell’800 soprattutto in Val di Non e Valsugana vicino alle abitazioni di famiglie nobili o di censo elevato, nei cosiddetti “broili” e “cesure” protetti da muri o siepi di cinta si coltivavano decine di specie di alberi e/o arbusti da frutto e uve da mensa che fornivano le tavole dei signori di prelibate primizie per molti mesi all’anno. Nei locali alti dove si allevavano i bachi da seta c’erano i graticci o arele sulle quali le predette famiglie benestanti, ma anche i censiti meno abbienti, conservavano d’inverno varie specie di frutta. Il progetto di Danilo Bettini può invece diventare, dopo qualche anno di prova e messa a punto, una iniziativa imprenditoriale singola o anche collettiva e diffusa. Soprattutto, dice l’autore della proposta, se la cooperazione od altre organizzazioni daranno il necessario appoggio.
A questo punto giova affrontare alcune questioni tecniche del progetto.
Lo sviluppo di qualsiasi frutto inizia dopo la fioritura con l’allegagione e attraversa più fasi di crescita durante le quali, oltre ad aumentare di dimensione, subisce modificazioni chimico-fisiche fino a raggiungere la completa maturazione. La consistenza della polpa diminuisce. Si accumulano zuccheri nella polpa. Si riducono l’acidità e l’astringenza. Compaiono aromi e profumi fino all’acquisizione del sapore caratteristico per lo sviluppo di sostanze volatili. Cambia il colore della buccia per diminuzione della clorofilla e prevalenza di altri pigmenti. Lo schema varia nelle diverse specie e all’interno della specie vi possono essere differenze notevoli legate non solo al patrimonio genetico, ma anche dipendenti dal clima, dall’esposizione, dalla altitudine, dall’età delle piante, dagli interventi colturali, dallo stesso carico di frutti.
Per scendere al pratico, pensiamo alle specie di frutti più diffusi in Trentino: mele, pere, ciliegie, pesche, albicocche, susine,kiwi, fichi, diospiro (cachi).
Ciascuna specie comprende più varietà. Per alcune delle specie citate si conoscono indici precisi per la raccolta al momento di maturazione commerciale, ma le difficoltà applicative sono molteplici. Alla maturazione commerciale segue quella fisiologica. Poi il frutto va in sovra maturazione n
Il supporto della ricerca è davvero indispensabile.
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