Dalla grande isola nel Sud-Est asiatico la testimonianza di don Francesco Moser
Timor Est, agosto 2015 – La croce dei giovani è finalmente sbarcata ad Atauro, l’isola di fronte alla capitale di Timor Est Dili, nostra dimora. Da anni cammina per il mondo. Dal 1987 non si ferma. Le popolazioni di tanti villaggi, e specialmente i giovani, l’hanno ammirata e abbracciata, vi hanno guardato come a una fonte della speranza, dopo i tempi cupi della repressione. E’ ancora forte l’eco del richiamo, sulla spianata di Taci-Tolu (“Tre mari”), nel 1989, della voce stentorea di Papa Giovanni Paolo II: “Giovani, siate sale della terra!”.
Ora è stata la nostra volta. La sfida era la traversata del Pacifico, che è sempre lì davanti. Santi e profeti amici hanno protetto la traversata. Mare calmo per l’occasione, martedì mattina presto. Sono circa 2500 i giovani che affrontano il mare, parte in traghetto, parte su lance e imbarcazioni varie. I pescatori fanno da fedeli sentinelle. Incrociamo tre balene e qualche gruppo di delfini. La croce di legno di pino durante la navigazione sale e scende con le onde, sembra attratta verso l’alto. Le braccia della croce sono spalancate quasi a raccogliere il popolo di Timor Est, gente dal volto rugoso, segnato dalla fatica del lavoro, ma ora radioso come raggi di luce.
Perché accompagnare, venerare, adorare la croce? La cultura moderna ha cancellato i simboli religiosi. Siamo più liberi? Abbiamo meno paura? ”Alessameno adora l’asino sulla croce”, dice il graffito pagano del Palatino dei primi secoli. La croce è sfida. Dio muore ora sulla croce dei giovani d’oggi, sui loro sogni, sulle speranze perdute, sulle illusioni mancate, sulla loro fuga dalle guerre e dai fallimenti dei governi. Viaggia instancabile di villaggio in villaggio, come ha voluto il vescovo Carlos Ximenes Belo, premio Nobel per la pace nel 1996, insieme all’allora premier Josè Ramos-Horta.
Di primo mattino, con i malati che piangono e pregano, inizia il cammino per riconciliare queste terre piene di ferite, di abbandoni, di dimenticanze pubbliche. In fondo alla discesa ci aspetta il patrono dei pescatori, pescatore pure lui: Pietro, la pietra, apostolo audace e spericolato. Siamo sulla strada da stamattina. Siamo invitati a osservare, a raccogliere segnali, a non perdere il tempo di grazia che non tornerà. Fa bene questo salire verso la più grande sorgente di Maquili. C’è il vento forte che sale dal mare. Abbiamo scelto per questo primo tratto il verso di Ben Sira: “Impara molto chi cammina molto”. Non è una passeggiata, non è un pic-nic. Sulla strada, ragazzi! Fuori dai recinti. Arriviamo alla spiaggia. Nello spiazzo immenso, in cerchio, un animatore proclama: ”Dio è venuto a trovarci”. Ricorda la lotta dei clan per i confini, la fossa comune piena di ossa. E’ una memoria dura. Ferite che ancora bruciano. Riecheggiano come invito alla vita parole di resurrezione: “Talita, kum!”. Il coro canta a gole spiegate. Alla sera, i giovani sono attorno a un tavolo, dibattono, presentano esperienze,fanno domande difficili. Davanti a questa croce, siamo come ad un bivio: le nostre culture, tradizioni, esperienze e le nuove sfide. L’invito è a ritrovarci nella riconciliazione, a ritrovarci nel perdono. Bisogna ripartire. In otto ore saliamo la montagna, verso i villaggi più antichi. Siamo attesi. Le bambine danzano. Gli uomini battono i gong, cori tradizionali aprono la notte di adorazione eucaristica.
Atauro è un’isola, per metà cattolica e per metà protestante. Qui è diverso rispetto dall’isola di Timor. Dobbiamo imparare con pazienza la grammatica di un nuovo dialogo. Ad Atauro liturgia, simboli e gesti nascono dal cuore e non dalla memoria storica ferita da incomprensioni. I giovani sono una forza e una promessa evidente, anche se dopo questa esperienza si sparpaglieranno altrove. Non è facile raggiungerli. Vivono nel loro mondo digitale. Per questo abbiamo proposto l’“Antenna Verde” per mandare sms missionari. Molti hanno aderito all’uso non commerciale del mobile e di Internet.
Il ritorno è più doloroso. Andiamo al porto a piedi. Alle 4 del pomeriggio la città di Dili è tutta lungo le spiagge. Avviene la consegna della croce. Si cammina ancora per 5 ore, fino alla mezzanotte, le strade sono a festa, illuminate da torce e candele. Come una bandiera ci avvolge la sensazione che tutto sarà possibile. Anche cambiare il mondo e la vita. Celebriamo attorno alla tavola della Parola e del pane. L’anfiteatro naturale di 12.000 persone respira sollevato e pronto a riprendere il cammino. Forse ci guarda l’amata Etty Hillesum e ci propone di adottare ”un cuore pensante”. Grazie alla croce – dei giovani e dei meno giovani -, di nuovo nell’alleanza e nella promessa.
don Francesco “Chico” Moser
missionario fidei donuma a Timor Est
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