Sembra sia iniziato un nuovo tour di Renzi nel paese. Partenza col botto a Rimini (meeting CL), poi Pesaro e L’Aquila. Le informazioni dicono che sono solo le prime tappe. Il premier-segretario inizia così la sua offensiva d’autunno a tutto campo che ha tre obiettivi: il centro-destra, le paure di questo momento e la minoranza interna. E’ il segno che Renzi ha percepito un momento di crisi nel consenso e che ha deciso di scendere personalmente in campo per recuperare il terreno perduto.
La cosa più curiosa è il dibattito che si sta sviluppando fra lui e il centrodestra. Il premier sembra puntare a destabilizzare decisamente quella componente puntando a favorire che cada in mano a Salvini, non a caso eletto a bersaglio polemico perenne. Da quei lidi si punta a rendere pan per focaccia destabilizzando il PD. Che senso avrebbe altrimenti il continuo avvertire da parte di esponenti di quella parte che la politica di Renzi non è di sinistra, se non quello di confermare, dall’esterno, le accuse di tradimento che la minoranza dem e le altre forze dell’estrema radicale continuamente ribaltano sull’inquilino di palazzo Chigi?
E’ chiaro che Renzi deve smarcarsi dall’accusa di star copiando Berlusconi e soci con la sua proposta di riduzione delle tasse, anche se è piuttosto ingenuo pensare che anche agli elettori di sinistra non faccia piacere un po’ di sollievo nel prelievo fiscale. Perciò il premier, a cui non manca brillantezza nella comunicazione, spara senza problemi sul “ventennio berlusconiano” che accusa di avere bloccato il paese. Con quella polemica pensa di mettere in relativa difficoltà la Lega, che però con Salvini si è messa di fatto fuori della continuità con quel periodo (anche se lo dice in maniera abbastanza ambigua).
Renzi sa che il nodo duro di questo momento è governare le paure della gente. Eventi come l’incremento ulteriore dell’immigrazione dal Terzo Mondo e come la crisi indotta dal crollo della finanza cinese non sono certo fatti per tranquillizzare, soprattutto in un contesto in cui la ripresa economica continua ad essere piuttosto debole.
La sua scelta di puntare su una narrazione ottimistica delle prospettive di sviluppo attuali può dare risultati ambigui, soprattutto se i frutti delle riforme politiche si potranno vedere solo in un tempo non breve (come si sta già capendo sarà per la riforma della pubblica amministrazione, per quella della scuola e per quel poco si è fatto sulla giustizia). Tuttavia è anche vero che soprattutto in tempi di crisi chi punta sull’ottimismo della volontà ha più di una carta da giocare.
Il terzo obiettivo che Renzi deve centrare è mettere in angolo una minoranza interna al PD che è sempre più disposta a tutto pur di farlo fuori. Anche in questo caso il premier ha scelto di giocare d’attacco: niente concessioni (che peraltro sarebbero difficili) e tanta polemica. Del resto non è difficile constatare che la gente si entusiasma poco alle battaglie contro la riforma del Senato, diffidente di una classe politica che la sostiene senza riuscire a convincere che sia una battaglia per evitare l’autoritarismo di uno solo anziché una modesta lotta per conservare visibilità e posti.
Quanto rischia con questa strategia l’attuale governo? A nostro giudizio più di quanto non si stimi. Più Renzi insiste ad intestarsi da solo il merito di stare conducendo l’Italia fuori dalla palude in cui si era cacciata, più diviene indispensabile per i suoi oppositori batterlo decisamente. Di qui l’incancrenirsi della situazione con una maggioranza al Senato sempre più a rischio (anche per la crisi dell’NCD).
L’incognita a questo punto si scioglierebbe se si capissero due cose: come si orienta il Quirinale e quanto Renzi ha preparato una strategia applicabile ad un voto che venisse fatto con l’Italicum.
Alcuni dicono che Mattarella scioglierebbe le Camere solo dopo che fosse diventato chiarissimo che a quello non c’è alternativa. Se fosse così, per l’attuale premier potrebbe aprirsi lo spettro di una crisi lunga prima dello scioglimento, il che avrebbe conseguenze imprevedibili e incalcolabili sull’orientamento della pubblica opinione.
Nel caso di elezioni poi si dovrebbe capire come Renzi intenda fare “la lista”, che, ne siamo abbastanza sicuri, non potrebbe diventare solo farina del sacco PD, ma dovrebbe allargarsi ad inglobare altre formazioni con le difficoltà interne ed esterne facili da immaginare.
Come si vede, alla campagna d’immagine Renzi dovrà presto sommare una strategia di gestione di una crisi prevedibile, ma da contorni quanto mai incerti.
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