Siamo agli inizi degli Anni Trenta. Le ciminiere dell’ex Italcementi svettano sullo sfondo cittadino, la cabina dell’impianto di risalita più che parte il veicolo di una funivia sembra una grandiosa carrozza metallica priva di ruote, ma ugualmente capace di collegare efficacemente, prima di essere sottoposta ai pesanti bombardamenti del secondo conflitto mondiale, il basso versante del monte Bondone alla sua città. Raggiunto il ridente pianoro di Sardagna a quota 600 metri si aprono le vie a maestosi pascoli verdi, da Candriai alle Viote, meta, quest’ultima, di gran lunga preferita dagli alpinisti.
Oggi il paese di Sardagna rimane escluso dal trambusto urbano, collegato tramite quella rammodernata funivia di cui ancora si parla circa le sorti del Bondone, come di una soluzione di mobilità sostenibile in grado di restituire equilibrio ai collegamenti con la montagna di Trento.
All’epoca della sua costruzione la funivia Trento-Sardagna era senz’altro la più ardita del Tirolo Meridionale. La lunghezza del suo percorso in una sola tesata di fune senza sostegno è di 1.260 metri e nei primi anni di servizio la distanza veniva superata in sette minuti mediante l’ausilio di due vagoncini, molto differenti dagli attuali, capaci ognuno di sedici posti (oggi sono da tredici) adatti anche al trasporto di merci dietro il versamento di una tariffa concordata per i viaggi di andata e ritorno equivalente a 8 lire.
La funivia, ideata e vagheggiata agli inizi del Novecento, fu attuata per merito iniziale di un comitato promotore fondato nel 1922 di cui l’ufficiale Giorgio Graffer e il cavaliere Giuseppe Pedrotti furono l’anima pulsante. Il decreto-legge Pantano dispose che tutto il materiale teleferico austriaco, bottino di guerra, potesse essere usato a scopo civile concedendolo a condizioni di favore ai comuni montani che ne abbisognassero.
La costruzione della “funicolare aerea di Sardagna” venne avviata nel settembre del 1924 per concludersi undici mesi dopo superato il collaudo tecnico dell’impianto, pochi giorni prima di quel 4 agosto 1925 che ne segnò l’apertura al pubblico. Era un giorno feriale eppure il movimento dei turisti non mancò. Antonio Pranzelores, vivace cronista del tempo, non senza una certa iperbole descrisse l’ingegnosa infrastruttura come “la prima funivia del mondo per arditezza”. Fino ad allora gli abitanti di Sardagna erano stati costretti a scendere nel capoluogo per una strada ripida e impervia con 300 metri di dislivello.
Forestieri di vario rango giunsero nella stagione calda dalle stazioni climatiche e balneari vicine, per ascendere il monte e guadagnarsi così una vista incantevole, l’aria balsamica e la cortesia di trattamento dei trentini. Il quotidiano “Libertà” intitolò con l‘espressione cubitale “La Conquista delle Alpi” uno squillante articolo attinente quei primi giorni di vita dell’opera teleferica. Eccone uno stralcio: “Alla naturale paura del vuoto è subentrata la più completa, futuristica fiducia. Se la Funivia Trento-Sardagna non avesse gli impressionanti e lunghi strapiombi che per arditezza la fanno la prima del mondo, ma seguisse la spalla usuale della montagna restando a pochi metri da terra anziché sorvolando quelle rupi spaventose, le condizioni di sicurezza non sarebbero maggiori, ma rimarrebbero inalterate. Mancherebbe però l’elemento affascinante di emozione che attira tanto il turista”.
Infine, negli anni del boom economico, l’ipotesi che non fosse lontano il giorno in cui questa funivia, snodandosi in novelli tronchi successivi, avrebbe toccato la sommità del Bondone. Alle velleità, la storia ha corrisposto i fatti conferendo al “grande impianto a fune” il ruolo di collegamento tra Trento e Sardagna. Rimane comunque in piedi l’ipotesi di collegamento Sardagna-Vason nonostante la ristrettezze economiche non permettano slanci arditi. “L’unico impianto che potrebbe rivelarsi sostenibile – ha prospettato l’assessore Michele Dallapiccola parlando di progetti di impianti di risalita arenati a Folgaria e Monte Rovere – potrebbe essere quello che collega Sardagna al Monte Bondone, ma emerge la necessità di coinvolgere soggetti privati tramite partenariato”.
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