Pubblicato il documento programmatico sulle “strutture” ecclesiali, assieme alle “visioni” sul tema delle vocazioni
Bolzano – Come si deve organizzare la Chiesa per continuare ad essere una realtà significativa per gli uomini e le donne di oggi? È la domanda a cui cerca di rispondere il documento programmatico del Sinodo altoatesino (titolo esatto: “Come possiamo formare e strutturare la Chiesa altoatesina su tutti i livelli?”) pubblicato in questi giorni assieme alle “visioni” sul tema delle vocazioni (vedi Vita Trentina n. 29, ndr).
“La Chiesa si dota delle forme organizzative più adatte per annunciare e vivere il vangelo nel proprio contesto culturale. La Chiesa è radicata sul territorio e la si può sperimentare nei vari ambiti di vita delle persone. Ciò significa che la Chiesa è presente e agisce nelle parrocchie, nelle comunità ecclesiali, negli ordini religiosi, nelle aggregazioni e in molti altri luoghi pastorali”. Il documento dedicato alle “strutture” descrive una Chiesa locale articolata in “comunità ecclesiali” (col compito di “collegare la vita ecclesiale con la realtà vissuta delle persone”), in parrocchie, che vengono mantenute là dove sono garantite “le dimensioni essenziali della vita comunitaria (liturgia, carità e annuncio)”, nelle unità pastorali, che hanno la funzione di mettere in comunicazione e di far collaborare comunità e parrocchie, e infine nei decanati, che sono a servizio della comunicazione e dello scambio tra la diocesi e le équipe delle unità pastorali.
Novità anche a livello di curia: “I singoli uffici sono organizzati unitariamente e in modo comprensivo dei gruppi linguistici. Vi operano in egual misura donne e uomini e sono presenti con pari diritti in ruoli direttivi”.
Il secondo documento presentato questa settimana porta il titolo: “Come promuoviamo vocazioni spirituali ed ecclesiali?” Nella Chiesa, vi si legge, operano innanzitutto collaboratori laici (volontari o stipendiati) che devono avere “le competenze necessarie a svolgere il proprio servizio” e “si sentono accolti e valorizzati”. Vi sono poi i diaconi permanenti che “non sono ‘preti di riserva’ o ‘tappabuchi’”, ma “modello di servizio al prossimo” ed operano nel campo della carità, dell’annuncio, della liturgia e dell’animazione comunitaria. “Si dovrà riflettere ancora – suggerisce il Sinodo – sulla possibilità, in determinate condizioni, dell’ordinazione presbiterale per diaconi permanenti sposati”. Quanto al sacerdote, egli è “in primo luogo un cristiano convinto e autentico”, è “uomo del dialogo, aperto ad una comprensione viva di ciò che significa essere cristiani nel mondo d’oggi”, è “in grado di leggere i segni dei tempi e di riconoscere i carismi che Dio dona ai singoli e ai gruppi” e “sa ricondurli ad ‘unità vissuta nella diversità’, affinché questi carismi diventino un dono per tutta la comunità ecclesiale”.
Il documento si occupa anche del Seminario maggiore (“centro di formazione spirituale e pastorale per tutti i collaboratori dei differenti gruppi linguistici”), dei religiosi (che “sanno distaccarsi con serenità e fiducia da tutto ciò che non è essenziale o anacronistico”), della missione (il cui contenuto “non è la cultura cristiana o la civiltà del benessere, bensì il Vangelo dell’amore di Dio, annunciato e vissuto”) e della necessità di avere, in diocesi, un Centro di spiritualità aperto a tutti.
Lascia una recensione