Spariglia le carte puntando sulla più controversa, ma potenzialmente più popolare delle riforme: quella delle tasse
Come è tipico dello stile dell’uomo, Matteo Renzi ha rilanciato al tavolo di quel poker politico che è in corso. Pensavano di metterlo nell’angolo con le difficoltà legate alla questione dell’immigrazione (un problema di difficile soluzione per chiunque), di logorarlo col populismo antitedesco e antieuropeo connesso aduna lettura strampalata della crisi greca, e più in generale con l’impaludarsi del percorso delle riforme in corso, nessuna delle quali ha l’appeal necessario per scaldare la pubblica opinione.
Intendiamoci: un tema come la riforma della pubblica amministrazione è formidabile se darà i risultati che si propone; la riforma della scuola se funzionasse potrebbe portare vantaggi, ma ci vorrà troppo tempo. Era necessario inventarsi qualcosa per restare al centro della scena e, sperabilmente, per recuperare nei sondaggi. Renzi ha puntato a sparigliare tutte le carte puntando sulla più controversa, ma potenzialmente più popolare delle riforme: quella delle tasse.
Si sarà notato che alla fine, nessuno ha potuto prendere di petto la proposta renziana. A destra in generale si è dovuto dire: bella cosa, ma non è possibile (visto che noi non ci siamo riusciti). A sinistra, al contrario, ci si è divisi fra chi ha sostenuto che è una direzione accettabile, ma andrebbe profondamente cambiata, perché così non funziona, e chi più brutalmente ha detto che un partito di sinistra un può fare una politica che aveva proposto la destra.
Dal punto di vista del dibattito ideologico ci sarebbe da interrogarsi su come si sia arrivati a questo impazzimento generale. Innanzitutto non si capisce che ragionamento sia quello che esclude una proposta solo perché era stata sostenuta anche dalla destra. Una proposta o è giusta o è sbagliata a prescindere da chi la fa. In secondo luogo non si vede che senso abbia arrampicarsi sui vetri dei casi estremi: sostenere che l’IMU sulla prima casa non può essere abolita per non avvantaggiare i proprietari di attici a Piazza Navona è surreale. Il numero di quelle persone è così limitato che non si vede perché non avvantaggiare una collettività ben più ampia, quella di chi ha veramente una casa di abitazione che non è concepibile come “ricchezza”. Per chiedere ai “ricchi” di contribuire al riequilibrio nella distribuzione delle risorse (a questo dovrebbe servire la fiscalità) si possono e si debbono trovare altre strade.
E’ peraltro evidente che ormai tutto viene valutato col parametro del pro o contro Renzi, il che non solo fa velo, ma finisce per accecare troppi politici e commentatori.
In realtà Renzi è riuscito ancora una volta ad imporre la sua leadership sull’andamento del dibattito politico, anche se ha dovuto farlo usando davvero un’arma estrema che rischia di scoppiargli fra le mani. Lo scaglionamento delle riforme, abolizione IMU l’anno prossimo, riforma IRES e IRAP nel 2017, revisione degli scaglioni IRPEF 2018, segnala la sua determinazione a non interrompere questa legislatura. Anzi con ciò egli pone sul collo di chi volesse farlo il peso della responsabilità di aver reso impossibili riforme senz’altro popolari. Mette anche in difficoltà tutti i suoi avversari perché farlo cadere su riforme che sono o popolari (tasse sulla casa e scaglioni IRPEF) o di interesse del mondo economico e dunque della ripresa (agevolazioni nella tassazione sul lavoro e sugli investimenti in macchinari) diventa imbarazzante e poco produttivo elettoralmente.
Certo ha l’incognita dei grillini che siccome puntano sempre sul mantra del “è tutto sbagliato, è tutto da rifare” non possono essere sfidati più di tanto nella loro raccolta di consenso nell’area dell’insoddisfazione globale.
Proprio questa considerazione spiega però perché Renzi rischia grosso. Ha infatti messo in campo scadenze e riforme circoscritte e verificabili. Se non riesce a portarle in porto la sua stagione politica sarà finita. Mettere mano ad una riforma fiscale di quella portata significa muovere tutto il complesso della finanza pubblica: significa tagli alla spesa (e questi generano scontento), significa aspettarsi un occhio di favore sul deficit da parte UE (e anche qui non è detto), significa puntare su una ripresa economica più sostenuta di quella attuale (di nuovo: un campo in cui non vi sono certezze). Il suo problema è realizzare tutto sia veramente, sia evitando che, come effetto collaterale, aumenti l’area dell’insoddisfazione globale, perché questo metterebbe il paese nelle mani di Grillo e di Salvini.
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