La protesta dopo la ricandidatura del presidente. “Fortunatamente la contestazione è stata plurietnica, ma c'è il rischio di uno scontro tra esercito e polizia”, spiega Mauro Dossi
Il Burundi rischia la guerra civile. I volontari delle associazioni internazionali sono rientrati e al momento è tutto fermo. Anche le organizzazioni trentine “Il Melograno” di Brentonico e “Spagnolli-Bazzoni” di Rovereto sono tra coloro che seguono con apprensione l’evolversi della situazione. Le elezioni presidenziali nel paese si terranno il 15 luglio. Nel frattempo è terminato lo spoglio di quelle legislative del 29 giugno, dove è risultato vincitore in parlamento – con 77 seggi su 100 – il partito dell’attuale presidente Pierre Nkurunziza, il CNDD-FFD, un risultato scontato visto che le opposizioni avevano boicottato le urne. Il 24 luglio infine si voterà per il senato.
La crisi è scoppiata alla fine di aprile, quando Nkurunziza, ha deciso di ricandidarsi alla presidenza per la terza volta, contro la costituzione.
Abbiamo fatto il punto della situazione con Mauro Dossi, presidente de “Il Melograno”, che opera da diversi anni nel paese africano dove ha realizzato vari progetti. Sono due i motivi – ci dice – della decisione di Nkurunziza: primo, “il gusto del potere”, secondo, di gran lunga più grave, “i vantaggi di tipo economico che gli vengono dalla sua posizione”. “Nel paese operano infatti multinazionali, che sfruttano le miniere d’oro, il commercio di banane e del caffè, a cui si aggiungono traffici illeciti di armi, droga e diamanti, in quanto il Burundi è zona franca”, spiega Dossi. Il presidente, che ha le mani in pasta, ha fatto chiudere tutte le radio indipendenti, funziona solo l’emittente di stato, oltre a tenere sotto controllo i telefoni. Le notizie filtrano esclusivamente tramite Facebook o messaggi WhatsApp.
Dopo l’annuncio della ricandidatura la gente è scesa in piazza per protestare. “Fortunatamente la contestazione è stata plurietnica, non c’era divisione tra hutu e tutzi, come accadde negli anni Novanta, quando le due etnie si sono massacrate”, continua Dossi. “Questo vuol dire che nel frattempo la popolazione è maturata, è riuscita a dialogare, nonostante le ferite della guerra”. Un’eventuale guerra civile – per Dossi – sarebbe innescata dallo scontro tra polizia, che appoggia il presidente, e l’esercito che finora è rimasto strategicamente in disparte. “So però da fonti ben informate che l’esercito è pronto a sferrare un attacco prima della data delle elezioni presidenziali”. A fare le spese – come del resto in ogni guerra – è sempre la popolazione, soprattutto le fasce più deboli e povere.
Nell’area attorno alla capitale Bujumbura c’è carenza alimentare, d’acqua, e di risorse energetiche, e si è registrato il primo fenomeno di colera. Si contano già 200mila profughi. Tra i progetti de “Il Melograno” c’è anche una cooperativa agricola di donne, sorta a partire dal 2007 nella campagna attorno alla città di Muyinga. Si è partiti con dieci donne e 2.400 mq di terreno, ora sono settanta con 25mila mq di terreno. Coltivano fagioli, arachidi, manioca e patate, hanno ottenuto il primo trattore, che chiamano “la mucca che tuona”, e hanno raggiunto l’autonomia alimentare per le loro famiglie. Dossi denuncia anche l’ipocrisia del governo italiano: “Domenica 5 luglio sono stato invitato all’inaugurazione del padiglione burundese, all’Expo di Milano”. Dossi non ha partecipato, ma ha saputo che “sono stati accolti in pompa magna l’ambasciatrice ed il ministro dell’agricoltura burundese; è stata inoltre elogiata la biodiversità del paese africano”. “Tutti aspetti positivi per una terra poverissima come il Burundi – conclude Dossi – ma nessun accenno alla democrazia e ai diritti umani calpestati, e nessuna richiesta di far luce sull’omicidio delle tre suore trucidate a Bujumbura lo scorso settembre”.
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