L'accordo di Schengen, il trattato per la libera circolazione in Europa, compie 30 anni. Nasceva, ricorda Stefan Lunte su Sir Europa, dalla ricerca di un equilibrio tra libertà e sicurezza. “La rimozione dei controlli alle frontiere interne ha richiesto una serie di norme comuni per il transito delle frontiere esterne degli Stati, per l'asilo e l'immigrazione e per il rilascio dei visti”. Ma “molti Stati aderenti restano aggrappati alle loro prerogative. Non si fidano”. Così, “alcuni Paesi dell'Unione non partecipano che parzialmente allo spazio Schengen” e ciò “a volte dà l'impressione di un tira e molla che suscita incomprensione o addirittura rifiuto”. Eppure “Schengen è e rimane un dono per i popoli europei, che circolano liberamente in un vasto spazio. Solo che, anche dopo trent'anni, Schengen è sempre un diamante allo stato grezzo. Occorre perfezionarlo”.
Lunte fa l'esempio dell'asilo: “Oggi il regolamento di Dublino 2 richiede di trattare le domande nel Paese di entrata sul territorio dell'Unione europea, ma si basa sulla buona volontà di tutti gli Stati. Ora, questo non funziona. Occorre fare un passo avanti”. È quello che cerca di fare l'agenda europea sulle migrazioni proposta dalla Commissione europea e ora all’esame dei governi. Risponde “a una situazione di emergenza e certamente non ha una risposta a tutte le domande, ma porta in sé il potenziale per andare più lontano”. E forse “consentirà di trovare un approccio più solidale per rispondere alle richieste di accoglienza”.
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