Gli schiavi di oggi

Il sindacalista camerunense Yvan Sagnet racconta a Trento la situazione dei braccianti che raccolgono pomodori nel Sud Italia. Come constare lo sfruttamento? Introdurre certificazioni e fare rete

Non occorre andare tanto lontano per trovare ancora uomini ridotti in schiavitù. Gli immigrati che raccolgono pomodori in Puglia per pochi euro a fronte di ore e ore di lavoro sotto il sole ne sono un esempio. Per non parlare di Rosarno, in Calabria. Yvan Sagnet, trentenne camerunense, arrivato in Italia qualche anno fa con una borsa di studio per frequentare il Politecnico di Torino, finì a Nardò, nella masseria salentina di Boncuri, alla ricerca di soldi con i quali mantenersi gli studi. Le condizioni di lavoro insostenibili e degradanti, la brutalità dei caporali, intermediari illegali tra la manodopera e le aziende, lo portarono a ribellarsi, insieme ad altri, e a promuovere il primo sciopero dei braccianti stranieri in Italia che in seguito portò a diversi arresti e a nuove norme contro il caporalato che perlomeno pongono le basi per contrastare lo sfruttamento dei lavoratori agricoli.

Yvan Sagnet – che nel frattempo ha scritto un libro (“Ama il tuo sogno. Vita e rivolta nella terra dell’oro rosso”, Fandango), si è laureato in ingegneria e lavora come sindacalista della Flai Cgil Puglia – venerdì 15 era all’oratorio di S. Antonio a Trento invitato dal Forum trentino per la pace ad un incontro su agromafie e caporalato. In Puglia, ha spiegato Sagnet, il 60% del lavoro in agricoltura è in uno stato di illegalità nonostante il settore tiri anche con la crisi visto che l’Italia è il primo produttore europeo di pomodori pelati. Eppure, più del 70% degli impiegati nei campi è sottopagato e la quota di lavoro grigio (meno di 51 giorni lavorativi l’anno con l’impossibilità, quindi, di chiedere il sussidio di disoccupazione) è molto alta. In provincia di Foggia, su 24mila aziende agricole solo 8000 versano i contributi. “Non è 'solo' un danno per i braccianti – ha sottolineato il sindacalista – ma anche per lo Stato. Purtroppo i controlli degli ispettori come sulla filiera sono assenti e in Puglia i braccianti stranieri, spesso ingaggiati nei Centri di accoglienza, vivono poi nei ghetti. Ne abbiamo contati 1300. C’è un clima di lassismo e impunità. La nostra battaglia principale è contro il caporalato che è ancora il mezzo più diffuso tra le aziende per trovare manodopera”.

Sagnet ha individuato in alcuni punti il contrasto allo sfruttamento. Innanzitutto l’introduzione delle certificazioni etica e biologica delle aziende. Legate, nel primo caso, al rispetto dei diritti dei braccianti e alla legalità del loro reclutamento, nel secondo alla tracciabilità del prodotto. “Solo rispettando questi principi – ha aggiunto – si dovrebbe aver diritto ai contributi europei, ma non è così”. L’altro tassello riguarda la commercializzazione: “Vogliamo costruire una rete, un sistema parallelo – è il progetto di Yvan Sagnet – che coinvolga piccoli produttori, Gas, Altromercato, Slow Food e Libera”.

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