Il 9 maggio è stata inaugurata la più importante vetrina d’arte contemporanea al mondo: la 56^ Esposizione Internazionale d’Arte a Venezia dal titolo “All The World’s Futures”, curata da Okwui Enwezor. “Questa manifestazione si sintonizza – a detta del presidente Paolo Baratta – sulle tensioni del mondo e sul presente”. Una rassegna artistica in chiave sociologica con l'auspicio che dalla denuncia derivi la voglia di cambiare. Più che tele e pennelli, prevalgono nuove tecnologie digitali, installazioni, grandi scenografie, cartelloni, oggetti propri dei singoli Paesi accompagnati da musiche locali: visualizzano con efficacia fratture, sperequazioni economiche e sociali, sofferenze ma anche impensate soluzioni che inducono alla speranza.
Anche i tre giovani artisti invitati a esporre nel Padiglione della Santa Sede all’Arsenale si conformano, in chiave evangelica, a queste istanze di denuncia purificatrice. Il tema "In Principio… la Parola si fece carne" prende spunto dal Prologo del Vangelo di Giovanni in cui si evoca l’intreccio della trascendenza e dell’incarnazione e la conseguente offerta agli uomini del precetto dell’amore. Passando attraverso le tre sale si ascolta “la Parola trascendente che rivela la natura dialogica e comunicativa di Dio in Gesù”: questo il suggerimento del Cardinal Gianfranco Ravasi, ispiratore del progetto, che scegliendo tre giovani artisti provenienti da Colombia, Macedonia e Mozambico ha voluto indagare questo tema in mondi distanti da noi, stabilendo un dialogo.
Nella sua esibizione artistica la colombiana Marika Bravo lavora sulle parole evangeliche, proiettando su sei schermi e altrettanti pannelli trasparenti le parole in greco del Prologo giovanneo in un coinvolgente dinamismo, esplodendo in visioni policrome potenti in un astrattismo indagatore e colmo di significati. La macedone Elpida Hadzi-Vasileva realizza invece una grande architettura a struttura a stella nel cui centro convergono allegoricamente le stirpi di ogni continente che si incontrano nell’agorà raffigurata in una colonna, che scende a pioggia con una leggerezza sorprendente da richiamare la solidale soavità nell’immersione fraterna. Il fotografo mozambicano Mario Macilau, infine, lavora su monumentali fotografie di due metri per due metri che descrivono bambini di strada, tenendo sullo sfondo la parabola del Buon Samaritano. Quadri fotografici in cui gareggia la maestria di soppesare il bianco e il nero nel porgere con prepotenza il dramma e l’isolamento dei ragazzi.
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