Dopo due anni di pontificato e di incontri con le Conferenze episcopali, Papa Francesco, aprendo i lavori dell'assemblea generale dei vescovi italiani, lunedì 18 maggio, rifacendosi alla “sensibilità ecclesiale”, maturata attraverso quella che ha definito una “visione globale” della situazione ha anteposto nel suo discorso indicazioni pastorali “concrete e comprensive”. Un anno fa, nella stessa circostanza, aveva messo in guardia la Cei dalle “chiusure” e dall'”attesa sterile di chi non esce dal proprio recinto”.
Ora chiede più collegialità e confronto interno, dichiarandosi disponibile alle “domande su tutto quello che volete”. Ciò che avverrà puntualmente durante un dibattito protrattosi per oltre due ore. Ma prima il Papa parla dei suoi interrogativi e delle sue preoccupazioni e di una sua particolare visione del concetto di “sensibilità ecclesiale”, avvalorata da qualità che fanno perno su Cristo, come l'umiltà, la compassione, la misericordia, la concretezza, la carità e la saggezza, da considerare però come motore d'iniziative.
Si tratta di un presupposto che ha come conseguenza per i vescovi – spiega il Papa – quella di “non essere timidi o irrilevanti nello sconfessare e nello sconfiggere una diffusa mentalità di corruzione pubblica e privata che è riuscita a impoverire, senza alcuna vergogna, famiglie, pensionati, onesti lavoratori, comunità cristiane, scartando i giovani, sistematicamente privati di ogni speranza sul loro futuro, e soprattutto emarginando i deboli e i bisognosi”.
E' una situazione dell'Italia ben nota con colpevolezze anche nella Chiesa – lascia capire Francesco – Chiesa che al contrario deve poter contare su vescovi “buoni pastori”, in uscita “verso il popolo di Dio per difenderlo dalle colonizzazioni ideologiche che gli tolgono l'identità e la dignità umana”. Da qui l'importanza come frutto della “sensibilità ecclesiale e pastorale” di Documenti “ove non deve prevalere l'aspetto teoretico-dottrinale astratto, quasi che i nostri orientamenti non siano destinati al nostro Popolo o al nostro Paese – ma soltanto ad alcuni studiosi e specialisti – invece dobbiamo perseguire lo sforzo di tradurle in proposte concrete e comprensibili”. L'elenco di ciò che intende proporre il Papa come “sensibilità ecclesiale” continua concedendo la sua parte anche ai laici, rafforzando il “loro indispensabile ruolo”. In realtà per Francesco che lo ribadisce a chiare lettere, “i laici che hanno una formazione cristiana autentica, non dovrebbero aver bisogno di un vescovo-pilota o del monsignore-pilota o di un imput clericale per assumersi le proprie responsabilità a tutti i livelli, da quello politico a quello sociale, da quello economico a quello legislativo”. “Hanno invece tutti la necessità del vescovo pastore”. Ed ecco l'aspetto legato alla collegialità, alla comunione tra i vescovi stessi, tra loro e i sacerdoti, tra le Diocesi ricche – materialmente e vocazionalmente – e quelle in difficoltà; tra le periferie e il centro; tra le conferenze episcopali e i Vescovi con il successore di Pietro. Ciò che si manifesta in alcune parti del mondo – osserva il Papa con molta franchezza e preoccupazione – è “un diffuso indebolimento della collegialità, sia nella determinazione dei piani pastorali, sia nella condivisione degli impegni programmatici ed economico-finanziari”. La verifica poi tra progetti fissati e gli obiettivi raggiunti, manca del tutto. Questa l'esemplificazione di Francesco: “Si organizza un convegno, un evento che, mettendo in evidenza le solite voci, narcotizza le Comunità, omologando scelte, opinioni e persone”, zittendo lo Spirito Santo. Il Papa cita poi il caso degli Istituti religiosi, monasteri, congregazioni, definito un “problema mondiale” che “si lasciano invecchiare così tanto da non essere quasi più testimonianze evangeliche fedeli al carisma fondativo”. La proposta del Papa: l'accorpamento “prima che sia tardi sotto tanti punti di vista”. Commentando il tema dei lavori della Cei, incentrati sull'esortazione apostolica “Evangelii Gaudium”, Francesco fa notare come “la gioia del Vangelo, in questo momento storico ove spesso siamo accerchiati da notizie sconfortanti, da situazioni locali e internazionali che ci fanno sperimentare “afflizione e tribolazione”, la vocazione dei vescovi debba essere “quella di essere testimoni gioiosi del Risorto”.
Il Papa aveva introdotto il suo discorso invitando i vescovi ad un esame di coscienza, citando il racconto di Marco sulla Maddalena, la quale in sé “aveva ospitato sette demoni”, fatto che lo induce a pensare “e io quanti ne ospitati? E rimango zitto”, quasi schernendosi, alla fine, ha concluso affermando: “questa è soltanto una introduzione”.
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