Le vicende dell'aprile di 70 anni fa in Trento: “Non bisogna «svendere» la Resistenza, ma nemmeno mitizzarla”, scrive lo storico Armando Vadagnini
La Resistenza armata in Trentino non fu un fenomeno di massa, sia per le condizioni particolari in cui la provincia si venne a trovare con l’occupazione militare dei tedeschi, sia per la presenza del prefetto trentino Adolfo de Bertolini, che formalmente rappresentava una garanzia per la tutela della popolazione. Questo però non cancella il valore e i meriti di chi lottò dalla parte giusta per restituire la libertà all’Italia e al Trentino. Non bisogna, quindi, «svendere» la Resistenza, ma nemmeno mitizzarla.
Oltre alla Resistenza armata in Trentino, come del resto in altre parti d’Italia, si svilupparono altre forme di Resistenza, come quella civile o assistenziale, che negli ultimi decenni la «buona storiografia», come scrive Sergio Luzzatto, ha preso in seria considerazione. Ne fecero parte ad esempio gruppi, associazioni o istituzioni che nascondevano gli ebrei, aiutavano i ricercati politici o i giovani renitenti alla leva, ospitavano i militari alleati delle missioni speciali, svolgevano propaganda contro la guerra o azioni di boicottaggio contro i tedeschi. Chi fece parte di questa Resistenza civile non deve essere considerato come «attendista», perché si esponeva agli stessi pericoli di chi partecipava alla lotta armata o a quella politica clandestina, e cioè la cattura, la morte o l’internamento nei Lager nazisti.
Molti furono i rappresentanti del clero e del laicato cattolico impegnati nel Trentino in queste forme di Resistenza; e non pochi di loro subirono il carcere, la tortura, la morte. La casa del sacerdote in molti paesi era diventata la «canonica di guerra», descritta con queste scarne parole da don Primo Mazzolari: «Venivano da ogni dove, a qualsiasi ora, sotto i nomi più misteriosi. Il prete apriva la porta, ricoverava, animava, consigliava, senza chiedere nulla, senza sapere chi fossero, donde venissero, quale fede politica li sorreggesse. E spesso era il primo che andava dentro, prelevato all’alba, mentre suonava l’Ave Maria, come un malfattore. E come un malfattore mandato a Mauthausen o al muro».
Quei mesi terribili si conclusero ai primi di maggio 1945. Anche se nelle altre regioni del Nord l’ordine dell’insurrezione generale era stato proclamato dal Cln Alta Italia di Milano già il 19 aprile, in Trentino la Liberazione non avvenne il 25 aprile. Mentre i partigiani e poi gli Alleati liberavano le città del Nord, i paesi del Trentino erano ancora controllati dai tedeschi disposti a tutto. A Trento avevano collocato mine sotto i ponti del Fersina e solo l’intervento delle autorità trentine, compreso l’arcivescovo de Ferrari, presso il Comando di Piazza tedesco, preservò il capoluogo dalla distruzione. Anche il decano di Lavis, il primo maggio nella Cronaca della parrocchia, ci dà un quadro drammatico della situazione: «Giornate di inferno. Affluiscono le truppe nella Borgata, occupano tutte le case, cacciano gli inquilini, sfondano porte, rubano, asportano biciclette. Pare vogliano formare una linea difensiva all’Avisio, in Camparta, Meano, Pressano. Piazzano cannoni, mitragliatrici. La truppa che passa sullo stradone erariale e per il paese con tutti i mezzi non si può contare. La popolazione è tutta a casa. Credo che in paese ci siano più di 15 mila tedeschi».
Gruppi di partigiani in Valle di Fiemme cercarono di fermare i tedeschi in fuga e a Ziano come pure a Molina e Castello, dal 2 al 4 maggio, si verificarono scontri armati, che lasciarono sul campo decine di morti. Così era avvenuto pure ad Arco e nella Vallagarina.
Nel pomeriggio del 4 maggio però a Trento entrarono le prime truppe americane. Nel frattempo il Cln locale aveva assegnato incarichi pubblici ai rappresentanti dei vari partiti, per iniziare a ricostruire con coraggio una società sulla base dei principi della libertà e della giustizia sociale. Il maggiore americano Mavis rivolse un caldo messaggio di ringraziamento all’opera dei partigiani trentini, che era già un’investitura politica: «Non può e non dev’essere mai dimenticato che i patrioti e i membri del Cln, lottando nelle circostanze più difficili e pericolose, hanno reso un servizio al futuro benessere dell’Italia e alla causa della libertà mondiale».
Armando Vadagnini
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