All'ospedale di Arco ci sono oltre cento infermieri: anche loro, insieme ai medici, stanno aspettando che la politica decida del loro destino
Di sanità si parla molto, ma non sempre viene data voce al personale che ogni giorno lavora in corsia. All'ospedale di Arco ci sono oltre cento infermieri: anche loro, insieme ai medici, stanno aspettando che la politica decida del loro destino, un orizzonte di parole neutre, come riorganizzazione, che possono diventare sinonimi gentili del termine “tagli”.
“In tre anni sono stati tagliati 80 posti, 80 infermieri in meno in tutta la Regione, e il turnover è in blocco parziale”, spiega Cesare Hoffer, responsabile regionale di Nursing Up, sindacato di riferimento per le professioni infermieristiche. La categoria è tra le più a rischio di stress lavoro correlato, e quindi di burn out: turni pesanti, richiami in servizio dai riposi, carichi di lavoro sempre maggiori e responsabilità giuridiche.
Un lavoro che è in gran parte fatto di relazioni e contatto con un ampio pubblico, ma in condizioni di precarietà lo stress e la stanchezza possono scatenare situazioni insostenibili. Anche il tam tam mediatico che nell'ultimo periodo ha interessato Arco non giova al personale: leggere notizie di chiusure imminenti dei reparti provoca disagio, demotivazione, incertezza. La politica, per ora, si limita a dire, ma c'è ancora il famoso mare che separa il detto dal concreto.
Secondo il personale dell'ospedale di Arco, ci sono le strutture e le competenze professionali per non chiudere il punto nascite. Ma se le direttive ministeriali dicono il contrario, la preoccupazione va ai pazienti. “Il punto nascite chiuderà? La vera domanda è: se chiude, cosa verrà fatto per garantire sostegno all'utenza in mancanza del reparto?” precisa Hoffer.
La donna in gravidanza deve essere seguita, ma l'assistenza non può mancare nei primi mesi dopo il parto. Una volta la rete famigliare delle neomamme assicurava quei saperi, quelle esperienze che oggi spesso non ci sono più. Le puerpere dunque fanno riferimento ai professionisti dell'ospedale. “Se togliamo il riferimento, dovremmo almeno sopperire con servizi alternativi, come l'assistenza territoriale delle ostetriche, che vanno a casa delle neomamme per seguirle nell'allattamento e nell'impatto con la nuova realtà”, sottolinea Hoffer. “E poi il trasporto, assistito da un professionista tra il pronto soccorso e l'ospedale di Trento o Rovereto dove si andrà solo a partorire: dev'esserci un'ostetrica, non può farlo un normale infermiere. E potenziare i consultori. Assistere gli utenti sul territorio costa meno”.
La crisi ha costretto la dirigenza a rivedere le priorità, ma i tagli non possono incidere sul servizio agli utenti. “Il problema dell'assistenza domiciliare che forniamo oggi, non solo ad Arco è che i professionisti devono spostarsi con mezzi propri”, continua il referente di Nursing Up, che associa circa 1.400 lavoratori. L'infermiere deve farsi carico del servizio che svolge, ad esempio se l'auto si rompe o se bisogna trasportare rifiuti speciali o attrezzature usate. Dall'azienda arriva solo il rimborso della benzina. A fronte delle riorganizzazioni, la politica vuole puntare sul territorio, ma per ora la situazione è questa.
“Chiediamo chiarezza e una definizione precisa delle priorità”, conclude Cesare Hoffer a nome degli infermieri di Arco, “perché non si tratta solo di noi ma anche e soprattutto del servizio agli utenti”.
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