Il dottor Luigino Pellegrini presenta con esempi concreti nuovi modelli di fare salute, rispondenti a quel welfare di comunità sempre più necessario e urgente
Quell’esperienza, lontana nel tempo ma vicina negli affetti, di servizio civile internazionale in Ecuador, insieme alla moglie Francesca, Luigino Pellegrini non l’ha più dimenticata. Era il 1986-89 e quel progetto del Mlal (Movimento laici America latina) che si era dipanato lungo l’arco di tre anni a fianco dei promotori di salute nelle comunità della foresta ecuadoriana è servito per impostare poi l’esperienza successiva come medico nel Servizio alcologia del Distretto sanitario Vallagarina. Nel tentativo quotidiano di rendere coerenti solidarietà internazionale, stili di vita, impegno politico locale e lavoro professionale. “Come medico – osserva Pellegrini – insieme ad altri operatori della sanità ci si ispira a nuovi modelli di fare salute: la slow medicine, l’alleanza con le persone, la medicina di comunità, la de-medicalizzazione dei disagi, la focalizzazione sulle cose che determinano lo stato di salute”.
In questo il dottor Pellegrini ha trovato una continuità nel tempo e nello spazio, “una grande somiglianza tra i contadini promotori di salute in America Latina e i servitori dei club alcologici e i facilitatori volontari attivi nelle reti dell’auto mutuo aiuto in Trentino”.
Cittadini protagonisti
“C’è in comune – continua nel suo ragionamento – la valorizzazione del protagonismo diretto dei cittadini e delle comunità nel promuovere salute in linea con un approccio ecologico sociale della vita”. Ma che cosa si intende per approccio ecologico sociale alla vita? Non è semplicemente un metodo o una mera teoria. E’ l’insieme di percorsi personali e comunitari per la costruzione di un nuovo modello di sviluppo fondato su “una spiritualità antropologica condivisa tra i popoli all’interno del Villaggio globale che contempla nuovi stili di vita e di relazione”. Parafrasando Paulo Freire, pedagogo brasiliano, cambiare il mondo senza potere.
E’ un percorso controcorrente, che può apparire anche di difficile comprensione se non viene ancorato al lavoro quotidiano del medico e del professionista nel campo della medicina. E particolarmente – ci tiene a ribadirlo – nel campo della “medicina di comunità”, dove si intende affrontare una pluralità di disagi – patologie – dei nostri giorni, superando terminologie biodinamiche o prassi prestazionali che spesso non aiutano le soluzioni.
Un percorso controcorrente
Li potremmo definire come “attaccamenti a”: al gioco, al fumo, alle droghe, agli psicofarmaci, al cibo, allo shopping, a Internet, al sesso… ma anche a ruoli, potere, cariche, cose, persone. Per passare poi alle “perdite”: lutto, abbandono, separazioni, perdita della salute, del lavoro, della propria terra, della sicurezza, di ruolo, di senso, di autostima, di speranza. Fino alla “fatica nella convivenza con…”: malattie croniche, disagio psichico, disturbi del comportamento alimentare, disabilità, solitudine, diversità culturale e di gusti sessuali, depressione, ansia, attacchi di panico, disagi esistenziali e spirituali, conflitti non gestiti e violenza domestica.
Nella visione generale e nel concetto di “medicina di comunità” – sottolinea Pellegrini – l’operazione culturale più importante è superare la dicotomia normale/deviante, sano/malato per riconoscere quella che chiama “la comunanza delle fragilità psichiche e fisiche esistenziali come esperienze umane comuni a tutti”. Profondamente umane, viene da aggiungere. Nasce allora la cultura del “fare assieme” tra operatori e cittadini investiti dalla responsabilità personale e collettiva al cambiamento individuale e sociale.
“Fare assieme” e buone pratiche
Dal 1998 il medico roveretano è stato di nuovo in America Latina in periodi diversi con la promozione delle reti dell’auto mutuo aiuto ed è ben riconoscibile – nelle sue teorie come nelle sue buone pratiche – una sfera d’influenza reciproca tipica della cultura ancestrale india più profonda, frutto delle diverse esperienze maturate. Come “il superamento dell’antropocentrismo e la costruzione di valori di riferimento universali comuni e condivisi”.
Per il dottor Pellegrini anche in Trentino non si parte da zero. Sono lì a dimostrarlo i 230 gruppi di auto mutuo aiuto per disagi i più diversi; il commercio equo e solidale; i Gruppi di acquisto solidale che ruotano attorno all’economia alternativa, attenta ai consumi e rispettosa dell’ambiente; gli Ufe (Utenti familiari esperti), con il coinvolgimento degli utenti e del loro sapere frutto dell’esperienza dentro i servizi pubblici a fianco degli operatori, in psichiatria e ora anche in alcologia.
Le settimane di sensibilizzazione all’approccio ecologico sociale al “ben-essere” nella comunità proposte annualmente e aperte a tutti (vedi la bella foto, che si riferisce al Corso 2014 a Rovereto, ndr) e le reti dei Club di Ecologia Familiare e la Scuola di Ecologia Familiare sono strumenti concreti, già attivi, che – a fianco dei servizi – permettono di affrontare difficoltà di vita, favorendo il protagonismo e la partecipazione delle famiglie all’interno della propria microcomunità di vita.
Esempi concreti di quel welfare di comunità sempre più necessario e urgente che parte dal presupposto che le persone e le famiglie non sono problemi, ma risorse per se stessi e per gli altri.
In punta di piedi sul pianeta
Per finire chiediamo al dottor Pellegrini se ha qualche aspettativa per il futuro immediato. Risponde senza esitazione: “La santificazione, anche a Roma, di Oscar Romero, vescovo santo e martire dal 1980 in America Latina. E la nuova enciclica del Papa sull’ecologia che dovrebbe uscire a giugno. Sicuramente una grande occasione per superare definitivamente la disastrosa visione antropocentrica della cultura occidentale del nostro modello di sviluppo che in nome di un falso progresso sta mettendo a rischio la biosfera e la biodiversità, in poche parole la sopravvivenza della vita sul pianeta!”.
Poi chiude con un auspicio. “Prendendo ad esempio la costituzione ecuadoriana e peruviana, potrebbe essere che i nostri rappresentanti trentini a Roma si facciano carico di promuovere anche in Italia una simile modifica costituzionale, che superando l’antropocentrismo, integri nella Costituzione in maniera equipollente la tutela dei diritti umani con la tutela dei diritti della biosfera e della biodiversità. In punta di piedi sul pianeta: una rivoluzione copernicana nel modo con cui gli uomini dovrebbero vivere da ospiti di passaggio e non da padroni immortali del pianeta!”.
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