Farian Sabahi, di origine iraniana, è giornalista, scrittrice, docente a contratto alle università di Torino e Aosta, collabora con il Corriere della Sera, il Sole 24Ore e la RAI
La mia esperienza è un racconto della città di Teheran e del grande paese dell’Iran dove le lotte per il potere si sono intrecciate nei secoli con la religione e il bazar.
Nei miei libri e nei miei documentari o articoli racconto la vita laggiù, le situazioni, le difficoltà, provo a far comprendere al mondo occidentale quel mondo per certi versi così distante, ma non troppo.
Nel 632 alla morte del profeta Maometto avviene lo scisma all’interno del mondo islamico: i sunniti sono la maggioranza, mentre gli sciiti – un po’ come i protestanti divisi in diverse sette – restano minoritari, ma nel 1501 arrivano a guidare l’intero stato dell’Iran imponendovi la religione. Ancora oggi l’unico, perché altrove, Arabia, Egitto, prevalgono sempre i sunniti.
L’odore dei soldi sposta il corso dei fiumi, dice un adagio, e il potere là è sempre stato anche economico ed esiste uno stretto legame tra il clero sciita e i fedeli soprattutto i più abbienti che gestiscono il bazar. L’alleanza fra gli ayatollah e il mercato ha prodotto nel 1979 la rivoluzione komeinista che ha cacciato lo scià.
E’ molto stretto il legame tra denaro e potere: se il clero sciita governa da ben 36 anni è solo per via del suo enorme potere economico.
Tutt’altro contesto nel mondo sunnita dove i leader religiosi sono stipendiati dal governo. In Iraq non esiste nessun legame tra clero e bazar, anche se ora l’ISIS riceve introiti di 2 miliardi di dollari, ma di svariata provenienza e soprattutto dall’estero.
La situazione però è ancora più complicata perché di fatto il potere ce l’ha chi detiene il potere militare.
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