Nella mostra veneziana dedicata a Henri Rousseau, anche un quadro di Tullio Garbari: due grandi artisti, forse sottovalutati per il tratto semplice e “primitivo” che li accomunava
Collocato a riposo dall’amministrazione doganale nella quale era stato impiegato (e a cui deve il soprannome “il Doganiere”) Henri Rousseau entrò ufficialmente nel mondo dell’arte nel 1884. Ebbe da subito il riconoscimento sia da parte degli artisti vicino al simbolismo e al neoimpressionismo, che da parte di illustri rappresentanti delle nuove avanguardie artistiche contemporanee: Gaugin, Signac, Picasso, Kandinsky e il trentino Tullio Garbari ne colsero l’originalità e il valore.
La Fondazione Musei Civici di Venezia, in collaborazione con il Museo d’Orsay, gli dedica una magnifica mostra, attualmente in corso a Venezia: si intitola “Henri Rousseau. Il candore arcaico” e sarà aperta fino al 5 luglio al Palazzo Ducale. Sono esposte oltre cento opere provenienti dalle più importanti istituzioni internazionali; 40 di queste opere sono state recuperate nel suo studio dopo la sua morte, le rimanenti 60 appartengono ad artisti amici o estimatori del Doganiere in un esemplare confronto.
Tra queste, anche due tele di Garbari: una raffigurante “Gli intellettuali al caffè”, in cui si intravede la vivacità scanzonata di Rousseau; l’altra, prestata dal Museo Diocesano Tridentino, è intitolata “La creazione di Eva” e, in puro stile “primitivista”, equilibria in sé l’estaticità biblica e la profonda attesa della completezza creatrice divina. A proposito del pittore trentino, la studiosa Gabriella Belli, già direttrice del Museo Mart di Rovereto, ora di quelli veneziani, parla di lui come di un artista di cui ancora molto si dovrebbe studiare. Nato a Pergine Valsugana nel 1892, morì giovanissimo (nel 1931) a Parigi; fu amico di Gino Severini e profondo conoscitore del filosofo cattolico Jacques Maritain.
Le creazioni di Rousseau, superato l’impressionismo, richiamavano l’esotico e certe caratteristiche, che avrebbero potuto essere considerate come frutto di una scarsa padronanza del disegno, vennero invece esaltate e imitate interpretandole come una forma di ribellione all’arte “costruita” e un inno alla spontaneità. Molto del suo successo si deve all’appoggio entusiasta dei grandi letterati suoi contemporanei come Jarri e Apollinaire, ritratto nella “Musa che ispira il poeta”: uno dei più famosi ritratti data l’eccentricità del soggetto e il mito che circondava la sua persona e la sua opera.
Non si deve cadere nell’errore di considerare Rousseau un naif nel senso letterale del termine, un ingenuo cioè simile all’uomo immaginato nel Settecento dal suo omonimo, in quanto dietro l’apparente elementarietà di disegno e costrutto vi è la consapevole costruzione di uno stile nuovo e non inquadrabile in alcun movimento definito. Egli sarà invece l’epigono, l’iniziatore facilmente imitabile ma in opere prive della sua profondità e poesia. Ogni suo quadro è costruito su un ordine interno attorno ad una cifra espressiva inconfondibile e identificante l’autore. Dipinge stupende nature morte e i paesaggi della banlieu parigina, restituendoceli nel loro reale aspetto disvelato e mitizzato a un tempo.
Questa mostra veneziana costituisce il punto di arrivo di una lunga serie di studi – da parte soprattutto della direttrice Gabriella Belli e di Guy Cogeval – avviato più di tre anni fa teso ad indagare in modo organico la sua intera produzione sganciandola dallo stereotipo dell’ingenuità che sia pure involontariamente lo ha danneggiato disconoscendone lo status di archetipo e anticipatore. Non si tratta quindi di un affastellamento di tele per enfatizzarne la quantità, ma di un florilegio di opere scelte, atte a tracciare il percorso pittorico e artistico del Doganiere e a farne comprendere la trama e la poetica intrinseche. Il titolo della mostra è quantomai azzeccato perché riesce a condensare in una breve definizione questo lungo cammino artistico le cui ultime tappe sono ancora da raggiungere .
Sono in mostre sei delle sue famose giungle, natura inesplorata e selvaggia, antico mondo bucolico di virgiliana memoria. I surrealisti le hanno amate scorgendovi in esse una proiezione dell’inconscio con i suoi grovigli, le sue liane mentali che tormentano l’essere umano con i suoi perché irrisolti. Non poteva mancare una serie sceltissima di ritratti femminile e maschili appartenenti alla borghesia parigina, archetipi di quel mondo che da lì a poco la prima grande guerra avrebbe spazzato via.
(ha collaborato Giacomo Botteri)
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