Nella croce la speranza

Simbolo cristiano – scrive Muser – di una protesta contro l'indifferenza verso chi nella nostra società è considerato perdente, contro la rimozione e la tabuizzazione del dolore e della morte”

Bolzano – La croce, il rispetto degli altri, la bellezza della fede. Sono i temi trattati dal vescovo Ivo Muser nella sua lettera di Pasqua (“Nella croce c’è la speranza”) alla diocesi di Bolzano-Bressanone. La croce, scrive il vescovo, è “il simbolo cristiano più decisivo”, un “segno per noi cristiani insostituibile”. “Nella croce annunciamo un Dio che in Gesù Cristo rimane fermo nella radicale decisione per l’uomo anche quando questi gli contrappongono ormai solo il grido: ‘Crocifiggilo!’. La croce è il segno della solidarietà di Dio, che non viene meno nonostante la contraddizione, il rifiuto e la violenza e si rivolge ai carnefici con un amore radicale, capace di abbracciare persino il nemico. Nella croce annunciamo la risposta cristiana alle domande più oscure ed esistenziali dell’uomo: ci chiediamo che senso ha il dolore, soprattutto quello innocente, e che senso ha la morte”.

“La croce – continua mons. Muser – è anche il simbolo cristiano di una protesta contro la sempre crescente indifferenza nei confronti di chi nella nostra società è considerato perdente, contro la rimozione e la tabuizzazione del dolore e della morte”. Quindi una riflessione sulla nonviolenza evangelica: “Nel corso della storia sono anche state commesse ingiustizie in nome della croce; in suo nome si è ucciso e si sono giustificate pretese di potere. Gesù stesso, che non possedeva spada, che è stato vittima della violenza e in punto di morte ha pregato per i suoi persecutori, è sempre per noi anche un modello scomodo in cui specchiarci. Noi siamo sempre i primi a doverci convertire – nel nostro modo di pensare, parlare e agire! Il messaggio della croce non è una dichiarazione di guerra, ma incontro con quell’amore divino che si spinge fino all’estremo per conquistare l’uomo alla vita”.

La lettera pastorale getta uno sguardo all’attualità: “Mi preme non tacere e non rimuovere il fatto che in alcune zone del mondo non è possibile confessare liberamente la propria fede ed esprimerla senza mettere in pericolo la propria vita e la libertà personale. In altre parti del mondo – tra cui anche l’Europa – esistono forme silenziose e sottili di pregiudizio e di opposizione alla fede e ai simboli religiosi. I cristiani sono oggi nel mondo la comunità religiosa più soggetta a persecuzioni per motivi di fede. Per via della loro fede in Cristo e per il loro aperto appello a riconoscere la libertà religiosa, molti sopportano offese quotidiane e vivono nella paura. Tutti gli uomini hanno il diritto di professare ed esprimere la propria religione e la propria fede come singoli e in comunità, sia in pubblico sia in privato, sotto forma di usanze, feste e momenti di preghiera, mediante pubblicazioni e nel culto. Rispettiamo anche coloro che dichiarano di non appartenere ad alcuna comunità religiosa e che non possono o non vogliono credere in Dio”.

La lettera del vescovo si conclude con alcune domande. “Cosa significa per me la mia fede? Cosa ne so? Cosa può costarmi al massimo? Sono convinto della mia fede e la difendo anche in pubblico?” “Non mi preoccupano le convinzioni e la fede degli altri, ma un’identità debole, l’indifferenza, la superficialità e l’ignoranza che dimorano nelle nostre stesse fila”.

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