Con caparbietà e intelligenza, ha avviato un allevamento di capre e un piccolo caseificio. Non senza soddisfazioni
Dagli altopiani dell’Etiopia alle vallate del Trentino. E’ l’itinerario di trasmigrazione di Agitu Ideo, una giovane, combattiva, determinata donna etiope, rifugiata politica in Italia. Era arrivata a Roma, di sua iniziativa, quando aveva solo 18 anni, per studiare. Ora invece si ritrova esule per motivi politici.
E’ la curiosità che ha condotto la vita di Agitu. La curiosità, che per lei è “la porta dell’intelligenza”, ha animato la sua formazione sociale e culturale. Lei, che si considera una privilegiata – proviene infatti da un'agiata famiglia di Addis Abeba – in un contesto, quello etiope e del Corno d’Africa in generale, di gravi e perduranti privazioni collettive, di povertà e mancanza dei più elementari diritti (i contadini che osano protestare il potere li fa scomparire per sempre, inghiottiti nel buio di un comando dispotico e però ben accetto a quanto pare presso le Cancellerie occidentali).
Quando torna in Etiopia per una vacanza si manifesta in Agitu la voglia di girare e conoscere meglio il suo paese. Scopre così i suoi coetanei occupati come forza-lavoro – sottopagati e sfruttati – nelle piantagioni di caffè. Mentre nei villaggi bambine e ragazze devono percorrere anche fino a 10 chilometri per recarsi a scuola al mattino e altrettanti per tornare a casa, sovente con lo stomaco vuoto. Allora si attiva, parla con i contadini, nel tentativo di organizzare piccole aggregazioni, embrioni di cooperative che permettano di resistere all’oppressione e di avere una ricaduta positiva dei pochi guadagni sul tessuto sociale del territorio, anche attraverso la creazione di pozzi e di rudimentali sistemi di irrigazione.
E’ tenace, Agitu, ma si scontra con ostacoli più forti: il sistema delle multinazionali, l’accaparramento delle terre con l’espropriazione forzosa dei contadini che le lavorano da tanto tempo, l’indennizzo a prezzi stracciati e la brusca cacciata. Lo chiamano land grabbing ed evidenzia tutta la sua brutalità nei metodi spicci e nella velocità con cui si espande in tutta l’Africa: milioni di ettari di terreni fertili accaparrati in una decina d’anni; e niente sembra arrestare la deriva.
La goccia che fa traboccare il vaso e la costringe all’esilio è l’essersi scontrata contro una multinazionale cinese che ha costruito un cementificio a cielo aperto che inquina moltissimo, senza filtri e altri accorgimenti che limitino la devastazione ambientale. La protesta coinvolge la popolazione locale con l’uccisione – il 28 maggio 2014 – di 87 studenti; altri sono in carcere (alcuni di loro appena dodicenni).
La fuga da Addis Abeba a Nairobi e il volo per l’Italia in cerca di una nuova identità, sempre nel solco delle proprie convinzioni, aprono le porte ad una nuova vita; senza dimenticare però la propria terra d’origine. Agitu si stabilisce in Trentino, una necessità coatta che lei trasforma in opportunità creativa. Cerca dei terreni abbandonati, dapprima in Vallarsa e poi in Val di Gresta, a Valle San Felice. Per cominciare l'attività, una quindicina di capre rustiche; bestie sobrie che si accontentano di brucare l’erba e foglie d’arbusti, vivendo all’aperto. Danno meno latte, ma le spese sono ridotte al minimo.
Sono già trascorsi cinque anni in questa nuova vita. Le capre si sono moltiplicate. Ora sono 54, in parte di razza “pezzata mochena”, altre del tipo “camosciata delle Alpi”, cui si sono aggiunte un po’ di pecore e qualche decina di galline ovaiole.
Nel frattempo Agi, come la chiamano gli amici, ha pensato bene di metter su un piccolo caseificio, “La capra felice”, ed ha così la possibilità di vendere i propri prodotti, tutti rigorosamente biologici. Qualche ora di lavoro la svolge in un bar del paese per poi tornarsene alle sue bestiole. Non che la sua sia una vita idilliaca: i ritmi dell’allevatore sono dettati dagli orari delle bestie, lei, poi, le sue capre le munge tutte a mano senza l’ausilio di alcun macchinario.
E non smette di interrogarsi: perché uno lascia la propria terra? A casa si sta bene, ci si riconosce nel mondo degli affetti più cari; perché si è costretti ad andarsene? Cosa scatena queste migrazioni? Lei se lo chiede continuamente, visto che conosce tanti ragazzi immigrati e rifugiati. Sono interrogativi che rimbalzano in un moto d’onda dettato dalla stretta attualità. E interpellano tutti.
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