Tra le vittime dell’ISIS

Di ritorno dai campi in Iraq, la testimonianza di Gemma Zanella, monaca di Trambileno: "Ogni profugo ha almeno un parente colpito dalle violenze dell'ISIS"

Una settimana in Iraq per conoscere meglio la situazione dei cristiani d'Oriente e portare un po' di sostegno morale ed economico. È tornata solo da un paio di giorni e Gemma Zanella, monaca della “Piccola Fraternità di Gesù” a Pian del Levro (Trambileno), non nasconde la stanchezza ma anche la preoccupazione per la situazione dei cristiani dell'Iraq incontrata nei campi profughi in Kurdistan, ad Ankawua, nella provincia di Karnazan. Ecco le sue prime impressioni “a caldo”, in attesa di un incontro pubblico, promosso dalla comunità per sabato 11 aprile alle 15 presso l'Auditorium di Trambileno.

Come mai questa trasferta di solidarietà in Iraq?

L'invito è venuto dai fratelli della “Piccola Famiglia della Risurrezione” di Marango, vicino a Caorle. Già da alcuni anni la comunità è in contatto con tre monaci diocesani di rito siro-cattolico che risiedevano a Quaraqosh, vicino a Mosul. Un contatto nato grazie anche all'amicizia con Annalisa Milani, osservatrice dell'UE dal 1984.Con questi fratelli cristiani, Wisam, Raid e Iaser, è nato un “gemellaggio” fatto di scambi telefonici e visite reciproche.

Lo scorso 10 giugno l'esercito dell'ISIS ha occupato la città di Mosul causando molte vittime e successivamente, il 6 agosto scorso, anche la città di Qaraqosh. Tutti i cristiani del Paese hanno dovuto lasciare le loro case e la maggior parte ha trovato rifugio nella città di Ankawa, nel territorio curdo iracheno. In una situazione di governo iracheno inesistente, la popolazione curda è l'unica in grado di mantenere la stabilità del Paese.

Molti cristiani di Qaraqosh sono fuggiti repentinamente lasciando tutto. La Chiesa cristiana irachena ha dato una grande testimonianza, soccorrendo i rifugiati e affittando degli alloggi dove potessero vivere in questa situazione di emergenza.

Insieme a don Giorgio Scatto della Comunità di Marango e ad Annalisa Milani accompagnata dal marito Giorgio, siamo stati invitati da questi amici monaci a visitare i campi profughi per conoscere la situazione e portare un po' di sostegno morale fraterno. Abbiamo colto l'occasione anche per portare aiuti materiali, frutto della grande generosità delle nostre comunità cristiane.

Come vivono i cristiani nei campi profughi?

I campi profughi sono differenti: ci sono campi con i container, allestiti anche da alcune associazioni europee, centri commerciali appena finiti di costruire affittati dalla Chiesa irachena, interi condomini o piccole villette.

In essi, le famiglie cristiano-irachene vivono a stretto contatto, ammassate e in una condizione di emergenza. In alcuni campi le fognature sono a “cielo aperto” e iniziano ad esserci dei seri problemi per l'elettricità e l'acqua potabile. La situazione sta quindi diventando logorante anche se, per fortuna, non mancano ne cibo ne vestiti.

Ciò che è più preoccupante è la tristezza che si legge sui loro volti: il desiderio, per ora non esaudibile, di un ritorno nelle loro case o comunque di una normalità di vita che possa ridare loro dignità.

I nostri amici monaci, insieme ad alcuni gesuiti e tre suore domenicane hanno iniziato un progetto educativo e di scuola per bambini e giovani nel campo di Ozal, ma siamo ancora agli inizi e c'è ancora molto lavoro da fare.

Cosa vi hanno detto sulla crudeltà dell'ISIS?

Tutte le famiglie cristiane incontrate hanno almeno un parente che ha subito violenze da parte dell'ISIS. Molto colpito è anche il gruppo etnico degli “Azidi” che è stato duramente attaccato e ha subito delle torture. Alcuni di loro ci hanno raccontato che le loro mogli vengono rapite e vendute dall'ISIS al mercato dell'Arabia Saudita o restituite, in condizioni precarie, in cambio di un cospicuo riscatto.

Cosa ti ha colpito di più di questa esperienza?

Il coraggio e la fortezza interiore dei monaci, delle suore e dei religiosi incontrati. In ogni campo, infatti, c'è una rappresentanza religiosa chiamata a dare speranza. Ma non è facile dare speranza in una situazione simile dove, gli stessi religiosi, si sentono impotenti. Gli stessi religiosi stanno soffrendo l'esilio: la Chiesa cristiana in Iraq è una Chiesa esiliata, violentata nella sua speranza cristiana.

Come siete stati presentati e accolti?

Siamo stati presentati come degli amici arrivati dall'Europa per ascoltare, per conoscere la loro situazione e condividere un po' le loro sofferenze.

Ci hanno accolto molto calorosamente, contenti di sapere che ci interessiamo a loro. Ci hanno chiesto di ricordarli nelle nostre preghiere e di fare pressione sulle potenze internazionali perché possano aiutarli.

Ci sono possibilità di dialogo con i mussulmani, da quello che hai visto?

C'è molta diffidenza nei confronti dei mussulmani. Purtroppo, per i cristiani d'Iraq, non c'è distinzione tra mussulmani e membri dell'ISIS. Questo è dovuto anche al fatto che molti di loro sono stati traditi dai vicini di casa mussulmani che, fino a poco tempo fa, vivevano pacificamente accanto a loro. Per questo invitano noi Occidentali ad essere molto prudenti nel dialogo con gli islamici.

Mons. Philip Najim, procuratore della Chiesa Caldea presso la Santa sede, incontrato nel nostro viaggio, ha affermato che una dichiarazione esplicita del Centro Islamico Al-Azhar del Cairo (ritenuto molto autorevole per il mondo islamico) di dissociazione dagli atti dell'ISIS, sarebbe l'unico modo per far ripartire il dialogo interreligioso e mostrare il vero volto dell'Islam.

Cosa pensi di fare dopo questo viaggio?

Una delle mie sorelle ripete spesso che dopo ogni avvenimento importante è necessario domandarci cosa il Signore ci chiede di fare. Dopo questo viaggio non sono più quella di prima. In primo luogo ricorderò questi fratelli e sorelle nelle mie preghiere ma cercherò anche di diffondere quello che ho visto e conosciuto. Poi forse, da cosa nascerà cosa… Mettiamo tutto nelle mani di Dio.

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