Il governo Renzi deve affrontare la seconda fase del suo percorso. Sin a ieri aveva lavorato per così dire “in prova”: la sua leadership era ancora giudicata frutto di un complesso di circostanze che lo avevano favorito più per combinazioni fortunate che per abilità politica del Presidente del Consiglio. Con l’operazione che ha portato Sergio Mattarella al Quirinale Renzi ha mostrato una notevole capacità di gestione di una fase politica difficile.
Ovviamente non basta superare una prova per quanto ardua per dire di avere sistemato tutte le pendenze. Anzi, proprio la vittoria brillante in questo frangente metterà Renzi nel mirino dei suoi numerosi avversari che adesso hanno capito che non possono semplicemente aspettare che si bruci da solo, perché non è affatto scontato che lo faccia.
Il premier è più solo di prima, perché ha perso l’appoggio sornione del centrodestra e non ha guadagnato, se non momentaneamente, quello della sinistra. Berlusconi esce da questa prova ulteriormente ridimensionato, perché si è toccato con mano che ha perso ogni lucidità. Sarebbe stato un gioco relativamente facile aderire alla candidatura di Mattarella che riuniva le caratteristiche da lui richieste (non era un ex comunista, era un politico e non un tecnico) e ciò sarebbe bastato per rendere difficile alla sinistra l’appoggio a questa candidatura. Ha pensato invece di poter mostrare i muscoli ed ha fatto vedere che gli si sono afflosciati per l’età.
Alfano si è mosso alla cieca, pensando più alle alleanze per le regionali che allo spazio di manovra che poteva avere. Casini, da politico navigato, lo ha convinto ad evitare l’errore finale, ma certo non è abbastanza per ridare peso ad un partito che non ha coesione interna né una chiara linea politica.
Le sinistre, sia interne ai DS che fuori del partito, si sono unite non solo perché quella di Mattarella era una candidatura di alto profilo (su questo ha giocato un ruolo decisivo Bersani), ma anche per l’eccitazione di mandare in soffitta il patto del Nazareno e nell’illusione di poter riprendere a condizionare il premier.
In realtà la partita è del tutto aperta. Prendiamo il caso della legge elettorale. Se alla Camera le sinistre riuscissero ad imporre le loro modifiche, la legge tornerebbe al Senato dove i numeri della maggioranza sono ballerini. Se su una legge di quel genere si formasse una maggioranza di nuovo tipo (cioè con l’M5S e Sel determinanti) ci sarebbe lo spazio per porre una questione di fiducia che imporrebbe o un cambio di governo, cosa che la maggioranza renziana del PD non può accettare, o un ricorso alle elezioni anticipate, cosa che a quel punto sarebbe difficile per un garante delle regole come Mattarella rifiutare.
Il fatto è che sciogliere le Camere significherebbe aggravare quella crisi sociale così pesante che proprio il nuovo Presidente della Repubblica ha denunciato con tanta forza, nonché probabilmente accentuare le spinte dell’antipolitica ed alienarci i sostegni internazionali. In una contingenza del genere non sappiamo immaginare come potrebbe agire Mattarella, che vuole sì fare l’arbitro imparziale e il garante, ma che ha anche pregato i giocatori di astenersi da scorrettezze, cioè da tattiche suicide per il gusto di buttare tutto all’aria.
E’ anche vero che negli ambienti politici si ritiene che a garantire la tenuta dell’assetto sia il terrore degli attuali parlamentari di affrontare una nuova prova elettorale da cui non sanno se usciranno vivi (e comunque con la pensione tagliata, perché adesso perché la legislatura valga a quei fini deve durare almeno quattro anni…). Tuttavia anche qui non vanno sottovalutati due fatti: 1) se si sciolgono presto le Camere rimangono anche i seggi al Senato perché la riforma costituzionale non è passata (e forse non si voterebbe neppure con l’Italicum che non prevede regole per il Senato); 2) comunque a tenere in mano le redini della partita sono gruppi relativamente ristretti i quali, non avendo il problema della loro rielezione, possono essere tentati dal giocare il tutto per tutto.
Insomma Renzi è riuscito a superare felicemente e con grandi onori il passaggio stretto della successione a Napolitano, ma non ha ancora raggiunto il mare aperto. Già dalle prossime settimane si capirà se si è stabilizzata una egemonia o se siamo entrati in una nuova fase della partita per la definizione della leadership sul sistema politico di quella che forse si avvia ad essere la terza repubblica.
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