Beniamino Vettori, il virus del viaggiatore e la passione per il cinedocumentario. Sulle tracce di antiche civiltà, dall'Africa al Medio Oriente. “Se servisse, sarei il primo a scendere in piazza per padre Dall'Oglio”
Quasi fosse un rito, per certi viaggi, la prima tappa è in val dei Mocheni per il rifornimento, abbondante, di luganeghe e carne fresca. Perché anche nel deserto non possono mancare le grigliate. Beniamino Vettori, 74 anni portati un gran bene, da quando è andato in pensione verso la fine degli anni Novanta ha girato mezzo mondo. Specialmente il Medio Oriente, l’India e l’Africa, i deserti della Libia, dell’Algeria, del Niger e della Tunisia come della Mauritania fino a spingersi nel Sudan ed in Angola. Sulle tracce di antiche civiltà, sempre con la macchina fotografica a tracolla e, di recente, anche con la telecamera in braccio. Di origini bolzanine, per una vita ha fatto il bancario, prima nella città natale e poi a Trento, dove ha diretto la ex Calderari&Moggioli.
Per capire come ci si possa prendere il virus del viaggiatore, è sufficiente mettere piede nella sua bella casa di Tavernaro, sulla collina della città. Fin dalle scale che portano al piano-giorno foto in bianco e nero di donne etiopi, riviste e libri d’arte che parlano di Ittiti come di faraoni, di scavi archeologici e scoperte epocali sulla storia delle civiltà che ci hanno preceduto, di religioni che per secoli hanno convissuto.
“La passione per i viaggi e l’archeologia – riflette Vettori – mi è stata instillata ancora negli anni Sessanta. Fu un mio compagno di lavoro ad affascinarmi con i suoi racconti”.
Sono i giorni subito seguenti alla liberazione delle due ragazze cooperanti in Siria, Vanessa Marzullo e Greta Ramelli, e col pensiero non si può che andare a padre Paolo Dall’Oglio, il gesuita rapito a fine luglio del 2013 e che sarebbe detenuto in un carcere dello Stato islamico. Profondo sostenitore del dialogo interreligioso e fondatore della comunità monastica cattolico-siriaca di Mar Musa erede della tradizione cenobitica ed eremitica risalente al VI secolo, padre Dall’Oglio ha lasciato un segno profondo in Beniamino Vettori. “Pensi che tutto nacque dal mio interesse per la chiesa paleocristiana che c’è sotto il Duomo di Trento – riflette –, lì c’è un bema, una sorta di piedistallo, in pratica un pulpito, che segnava la zona riservata al clero e agli oratori e di cui non conoscevo nulla. Venni a sapere che in Siria dal V all’VIII secolo il bema assunse un ruolo essenziale nella ritualità cristiana. Essendo posto nel punto d’incontro dei raggi solari delle albe solstiziali ed equinoziali determinava addirittura le dimensioni della chiesa e non solo il suo orientamento. L’esempio di bema meglio conservato è a Resafe, l’antica Sergiopolis, mentre la struttura ancor oggi perfettamente funzionante è proprio la chiesetta di Mar Musa che padre Dall’Oglio aveva ristrutturato. Andai in Siria, per fortuna prima che scoppiasse il finimondo. Padre Dall’Oglio, che poi avrei conosciuto a Trento, non c’era per via di alcuni impegni che spesso lo portavano in Europa. Filmai l’alba del 23 settembre ed ebbi così modo di partecipare al dipanarsi del racconto che in quel gioiellino di chiesa da secoli compie il raggio di sole. Il tutto è contenuto in quello che sarebbe poi stato 'Bema: luce in Oriente', un documentario proiettato in seguito al Festival del cinema archeologico di Rovereto. Ma, al di là di questo, auguriamoci tutti che padre Dall’Oglio sia vivo e possa essere liberato presto. Servisse, sarei il primo a scendere in piazza”.
Quella volta Vettori viaggiò da solo, ma da molti anni prende il via con un gruppo di amici, in particolare i fratelli Knycz (Umberto, Andrea e Marcella), noti per l’omonima ditta di impianti termosanitari. “Hanno dei fuoristrada attrezzati per il deserto. Viaggiamo rigorosamente in modo fai da te, non passiamo da agenzie. Se andiamo nei deserti africani – ricorda – ci imbarchiamo a Genova con la nave che porta a Tunisi e carichiamo tutto quello che ci serve, dalle tende all’acqua. A metà degli anni Novanta abbiamo girato per tre settimane in Etiopia, Paese che da poco aveva terminato la guerra con l’Eritrea. Un’esperienza strepitosa, a contatto con la gente del posto, tra paesaggi e panorami stupendi. E non le dico della Dancalia, nel corno d’Africa, oppure della Mauritania, alla scoperta di biblioteche che nelle città/oasi, tappa delle rotte carovaniere, contenevano manoscritti su manoscritti unici, che fanno parte del patrimonio dell’umanità”.
Vettori ricorda bene i Dogon del Mali e la loro cultura millenaria, oggetto di una recente mostra di Umberto Knycz, ma pure “La terra dei faraoni neri”, titolo di un documentario girato, con Umberto Knycz e Gianna Ruele, in Sudan e che ripercorre la storia di alcuni faraoni di origini nubiane che dominarono l’intero Egitto. “Non cancello dalla mia mente – riflette il viaggiatore – quel gruppo di ragazzi trovati nel deserto nigeriano, bloccati per via di un problema al camion che li portava verso il Mediterraneo alla ricerca di una nuova vita. Caricammo l’autista su uno dei nostri fuoristrada portandolo nella città più vicina alla ricerca dei pezzi di ricambio. Se no, non so che fine avrebbero fatto”.
Ora l’interesse di Vettori è rivolto ad est. In Anatolia, al culmine della “mezzaluna fertile”, è stato scoperto un centro templare (Goebekli Tepe) che potrebbe rivoluzionare le conoscenze sulle origini dell’attuale nostro assetto socio-economioo. “Ci ho girato un documentario – chiosa Vettori – e a breve andrà in onda su Telepace”.
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