Una lotta contro il tempo

Le strategie di contenimento dell’epidemia di Ebola in Sierra Leone. Parlano i medici del Cuamm

Notevole partecipazione di pubblico – attento, coinvolto, una sorpresa anche per gli organizzatori – sabato sera 10 gennaio alle scuole “don Milani” di Pergine Valsugana per un incontro sull’emergenza Ebola nell’Africa occidentale. Protagonisti i medici del Cuamm, l’associazione “Medici con l’Africa” (né “per”, né “in”, ci tengono a precisare, ma “con” l’Africa ad indicare una scelta di fondo che è quella di essere al fianco della gente nei villaggi più sperduti come nelle periferie urbane). L’ha ben messo in evidenza il dottor Carmelo Fanelli, responsabile del gruppo per il Trentino e con il cuore in Africa, il quale ha subito sottolineato quella che è la strategia complessiva del Cuamm di fronte a questo difficile momento per tanti africani. Rimanere in Africa, restare e non andarsene, rimanere soprattutto in Sierra Leone, Liberia e Costa d’Avorio, i paesi più coinvolti dall’emergenza. “Se andiamo via anche noi, si sentono del tutto abbandonati!”.

Circa 20 mila casi registrati, quasi 9 mila morti finora: questo lo scenario con cui si confrontano quotidianamente i medici e il personale sanitario del Cuamm, come quelli di Emergency, del resto, e di altre organizzazioni umanitarie la cui presenza oggi si rivela del tutto indispensabile per non lasciare quelle popolazioni, già poverissime, al loro destino, in balia di una epidemia micidiale se non viene affrontata con “tempestività, continuità e competenza”. Perché il fattore tempo è imprescindibile per bloccare la malattia, interventi estemporanei non servono e occorre molta professionalità e attenzione di competenze igienico-sanitarie.

E’ toccato al dottor Giovanni Putoto – 54 anni, 4 figli, 10 anni vissuti in Africa – dare una testimonianza davvero toccante dal punto di vista umano e sotto il profilo professionale. “Non si tratta solo della sofferenza di ogni singola persona colpita dal virus. E’ un dolore e un malessere che colpisce intere comunità!”. In Sierra Leone da quasi un anno tutte le scuole sono sospese; 1 milione di persone sono state messe forzosamente in quarantena, che vuol dire interdizione di ogni attività economica e professionale. Sono quindi fortissime le ripercussioni economiche su un tessuto già di per sé molto fragile, basato su scambi di sussistenza e un’elementare autoconsumo. Ma significa principalmente – ha ripetuto il medico del Cuamm – l’innescarsi di devastanti aspetti psicologici e di relazione nelle diverse comunità colpite: il diffondersi della paura, del sospetto, di atteggiamenti incontrollati. Le cerimonie religiose di villaggio – cui la gente africana tiene moltissimo perché collante della comunità nelle tradizioni – sono state ridotte al minimo indispensabile. Così per le pratiche sportive, di commercio e di scambio. Questo può portare a ripercussioni gravissime se non vengono messe in moto componenti di vicinanza e solidarietà, comportamenti di coesione, quello che il medico padovano ha chiamato l’intervento dell’“intelligenza collettiva” come a dire che di fronte a mali estremi le comunità riescono a trovare le energie e le forze per evitare la disgregazione, per rispondere in modo propositivo, salvifico, e così organizzarsi.

A Freetown, la “città libera” – dove ai piedi di un gigantesco albero secolare venivano venduti gli schiavi – la politica locale ha saputo dare il meglio di sé in un momento difficilissimo. In un contesto regionale africano in cui le politiche sanitarie sono a pagamento, la leadership della Sierra Leone ha optato per rendere effettivo il diritto universale alla salute a titolo gratuito. I medici del Cuamm hanno potuto più agevolmente inserirsi nei programmi sanitari locali “collaborando, lavorando assieme al personale africano, nel massimo rispetto – ha insistito il dottor Putoto – perché siamo in casa d’altri”. Ecco allora che nel distretto di Pujehun, al confine con la Liberia, con una popolazione di circa 320 mila persone, un’area tra le più popolose, si può contare su un ospedale e però anche su ben 75 distretti sanitari diffusi in modo capillare così da poter raggiungere più persone possibile. Con un duplice obiettivo: il controllo dell’epidemia, pur senza terapie validate, e mantenendo i programmi di intervento con le donne, che continuano a partorire in condizioni di estrema vulnerabilità, e i bambini che seguitano a nascere con aspettative di vita a brevissimo termine. “E questo non lo possiamo permettere!”, ha chiosato con slancio e convinzione il medico con il cuore in Africa.

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