Le dimensione ecclesiale del pellegrinaggio lo distingue nettamente da altre esperienze di turismo religioso o culturale. Don Piero Rattin, delegato vescovile, a radio Trentino inBlu
Anche nell'epoca postmoderna l'uomo ha dentro di sé lo spirito del viandante… l'homo viator, sempre alla ricerca di punti di riferimento che rimandano all'assoluto. L'esperienza del pellegrinaggio si colloca in questa ricerca, in una dimensione ecclesiale preziosa, che va valorizzata. La diocesi di Trento ha pubblicato da pochi giorni il calendario dei pellegrinaggi diocesani per il 2015, che si apre a marzo e si conclude nel mese di ottobre con i due viaggi in Terra Santa. Nel raccontarne le novità ai microfoni di radio Trentino inBlu, don Piero Rattin, delegato vescovile per la Pastorale degli ammalati e pellegrinaggi, definisce innanzi tutto cosa sono i pellegrinaggi ecclesiali, tracciandone le differenze sostanziali dalle altre iniziative di turismo religioso organizzati da agenzie private.
“Il pellegrinaggio, programmato dalle comunità ecclesiali – sia la diocesi, la parrocchia o le unità pastorali –, ha come finalità primaria quella di offrire un'esperienza di fede, mentre le agenzia private hanno di mira anzitutto il profitto economico che ne possono trarre… ed è naturale che sia così. Se non ci fossero certi itinerari religiosi, probabilmente oggi più di un'agenzia dovrebbe chiudere baracca. I pellegrinaggi come esperienza di fede si caratterizzano poi per l'affidabilità dei luoghi e degli itinerari, dove sia possibile fare un cammino interiore di ascolto, di verifica della propria vita alla luce della fede, di conversione, a differenza dei viaggi di agenzia che promuovono itinerari senza curarsi molto della loro affidabilità, anzi non di rado privilegiando quelli che stuzzicano il devozionismo, il prurito religioso, che ha poco a che vedere con la fede”.
Gli obiettivi della nostra diocesi sono dunque molto diversi da quelli delle agenzie…
Non è che l'agenzia privata non abbia il diritto di lavorare, ma dal momento che l'esperienza della fede ha sempre una dimensione ecclesiale, comunitaria, allora è competenza della Comunità programmare un pellegrinaggio per quanto riguarda le mete, i contenuti… Alle agenzie spetta l'organizzazione tecnica: viaggio, pernottamenti, ristori… Anche noi per i pellegrinaggi diocesani ci appoggiamo a loro per questi aspetti.
Il pellegrinaggio ha dunque una sua specificità. In sintesi, quali sono le sue caratteristiche “ecclesiali”?
Innanzi tutto la valenza comunitaria, che si esprime in diversi modi. Per prima cosa portando nel pellegrinaggio quello che è il realismo della comunità ecclesiale, che è fatta di famiglie, compresi i bambini e i ragazzi, è fatto di malati, di disabili, di anziani che hanno bisogno di assistenza, e di giovani, che – guarda caso – trovano nel servizio a queste persone il loro modo di fare pellegrinaggio… Insomma: esperienza ecclesiale, perché la Chiesa è fatta di tutte queste realtà umane. Altra valenza ecclesiale è data dal fatto che giunti alla mèta no si dà prioritaria importanza a quello che può esservi accaduto, ma al vangelo, cioè a quegli aspetti o messaggi ai quali rimanda la storia di quel luogo. Altro connotato ecclesiale dei pellegrinaggi è dato dal contatto programmato con le realtà ecclesiali locali: per conoscerle e no di rado anche per instaurare con loro una relazione di solidarietà che continua anche dopo il pellegrinaggio… così è per la Terra Santa, l'Armenia, la Romania… Neanche i pellegrinaggi individuali, in solitudine, possono prescindere da una valenza comunitari,a ecclesiale.
Sono 10 i pellegrinaggi proposti per il 2015 dalla diocesi. Quali sono le novità di quest’anno?
Oltre a quelli tradizionali – Terra Santa, Lourdes, Fatima – abbiamo un itinerario con i malati, ma anche per pellegrini sani, a fine aprile, che ci porterà sui luoghi di S. Antonio, Campo San Piero, Padova, Ravenna, con la visita delle basiliche bizantine, e al santuario della Madonna di San Luca a Bologna. Dato l'evento dell'esposizione della Sindone, è in programma un pellegrinaggio di un giorno a Torino. Abbiamo poi quello di Armenia e Georgia, in estate: itinerari che abbiamo già percorso in passato e che ripetiamo ogni 3-4 anni. Nella seconda metà di settembre abbiamo cinque giorni di visite a santuari europei tipici come la Tunica del Signore a Treviri, in Germania, il santuario della Madonna dei poveri, in Belgio, la cattedrale di Strasburgo. Questo itinerario ha in sé sia la caratteristica del pellegrinaggio come esperienza di fede e preghiera, ma anche la dimensione culturale
Quali nuove prospettive si delineano per i pellegrinaggi diocesani?
Credo sia un dovere pastorale valutare con attenzione l'opportunità di programmare pellegrinaggi, non solo da parte della Diocesi, ma anche da parte delle parrocchie, delle Unità pastorali… Dovere, perché la gente non rinuncia all'esperienza del pellegrinaggio: anche nell'epoca postmoderna l'uomo ha in sé lo spirito del viator, del viandante… Chi nella pastorale rifiuta l'idea di programmare pellegrinaggi (c'è chi dice “ma la Madonna c'è anche qui, non occorre andare a Fatima, a Lourdes o chissà dove”), chi ragiona così alla fin fine lascia campo libero a iniziative che definisco selvagge, che hanno più a che vedere con il devozionismo che con l'esperienza di fede.
Qual è dunque la sua proposta?
A livello di parrocchie oppure Unità o Zone pastorali, si dovrebbe valutare l'opportunità di programmare ogni due o tre anni un pellegrinaggio (a Lourdes, a Fatima oppure in Terra Santa). Ma occorre metterlo in programma non come un diversivo, tanto per fare qualcosa di diverso, ma come punto di arrivo di un cammino che si fa nelle comunità. Va quindi programmato con notevole anticipo, con una preparazione adeguata, non solo da un punto di vista tecnico ma anche sul piano spirituale… E si preveda una partecipazione che coinvolga tutte le componenti della comunità: sani e malati, singoli e famiglie, ragazzi, giovani, anziani… promuovendo anche iniziative di solidarietà per consentire l'esperienza anche a chi non avrebbe la disponibilità finanziaria per affrontare le spese del viaggio… la fantasia non manca alle parrocchie! Allora credo che i pellegrinaggi risulterebbero non solo più qualificati, ma sarebbero anche l'occasione per far crescere e far maturare le nostre Comunità.
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