La storia di Ervinio, da 60 anni abbonato a Vita Trentina

Il centro storico di Ala
C’è chi dà i numeri, chi gioca con i numeri e chi i numeri, anche quelli seri degli eventi drammatici, non li scorda a morire. E’ il caso di Ervino Eccheli di Pilcante, frazione di Ala, 92 primavere alle spalle, da 60 anni abbonato a Vita Trentina, ma che nella mente porta impresso soprattutto il numero di matricola 66770 che gli era stato cucito addosso nello Stammlager XII A di Limburg in Westfalia, prigioniero di guerra dei tedeschi.

Agli amici è solito aprire la scatola con la corrispondenza dal lager (cartoline postali, con molte censure, conservate gelosamente prima dalla madre e poi dall’interessato) ed esibire Vita Trentina, alla quale è particolarmente affezionato. L’abbonamento glielo aveva regalato una sessantina di anni fa il “compare” Bepi, sacrestano e testimone di nozze, benemerito e storico fiduciario del settimanale diocesano. Da allora Eccheli ha sempre rinnovato l’abbonamento e nonostante gli anni si tiene aggiornato mediante una lettura agevolata da una lente, quando gli occhi stanchi fanno le bizze.

La giornata di Ervino inizia presto con una passeggiata in paese, gli acquisti alimentari in bottega, la Messa vespertina quotidiana, due parole con il parroco don Giuseppe Soini, e il disbrigo di talune faccende domestiche, alleggerito ora dal figlio Stefano, autista finalmente in pensione. L’odore di mosto nel cortile di casa riporta immediatamente all’originaria vocazione della famiglia Eccheli, e di Ervino in particolare, quella di agricoltore-viticoltore con la passione per l’attività di boscaiolo. Piccoli quantitativi di uva vengono lavorati nella cantina di famiglia per il consumo proprio; da qui il persistere dei profumi autunnali della vendemmia. “Quanta fatica!”, sospira; come se segacci e motoseghe, roncole, mannaie, funi, carri e animali da tiro fossero ancora lì ad attenderlo nel deposito di casa o in stalla dove ormai la fanno da padroni solo un gatto e un cane. Era un andare su è giù dal Baldo. E dove non arrivavano i carri c’erano le teleferiche: tronchi e legnatico destinati soprattutto al Veneto. “La miseria ti spingeva a lavorare senza neppure tirare il fiato”. Ervino tronca improvvisamente il discorso con una battuta: “Meglio fare il boscaiolo che il contadino”. Eppure la viticoltura ha avuto il sopravvento con nuovi impianti, una cantina sociale modernissima ed un mestiere divenuto sempre più frenetico fino al compimento degli 80 anni, quando ha detto “basta” alla fatica.

E’ stato il fisico a ribellarsi, non la mente che tiene sveglia con la “sana lettura”, i rapporti con figli e nipoti, i vicini e i compaesani.

Sfoglia la sua “Vita” (Trentina), preoccupato dei conflitti nel mondo. “E’ la conseguenza delle due guerre che abbiamo vissuto noi”, sospira. I ricordi vanno all’8 settembre 1943 quando fu fatto prigioniero a Bressanone dove stava svolgendo il servizio militare, quale attendente del capitano Rodolfo Ruffino, responsabile dei corsi per ufficiali. Fu rinchiuso in un vagone bestiame con altri 67 militari italiani, tutti in piedi per 3 giorni e 3 notti, senza cibo né acqua: “Uno schifo”, è l’unica parola che gli viene in mente. All’arrivo tutti crollarono a terra colti da terribili dolori alle gambe. “Il pensiero durante il viaggio – dice – andava ai tragici racconti che si ripetevano del papà e di un suo fratello spediti a combattere in Galizia durante la Grande Guerra”.

Papà Beniamino fu richiamato sotto le armi ad Innsbruck nel 1914 mentre moriva la moglie, che gli aveva dato due figli, senza poter partecipare ai funerali. Avrà altri sei figli dalla seconda moglie, sposata al rientro in paese.

“Nel campo di concentramento continuavano a farci camminare da mattina a sera per combattere i morsi della fame. Guai fermarsi”. Non arrivavano notizie da casa mentre si poteva scrivere senza però sapere se la posta arrivava a destinazione. “Vitaccia da far paura”. Al campo di contenimento c’erano anche molti francesi che la sapevano lunga sul duce e sull’Italia tanto da infastidire per il loro atteggiamento anti-italiano. Con alcuni connazionali, sul finire della guerra, fu dirottato in una fabbrica di cingolati militari e consegnato per il mantenimento ad una famiglia del luogo, vista la scarsità di cibo per i prigionieri. Con quelli che ha definito “benefattori” Ervino ha mantenuto buoni rapporti anche nel dopoguerra.

Ad interrompere il racconto è l’arrivo dalla Svezia della nipote Sabrina, studentessa Erasmus in biotecnologie. Nonno Ervino non riesce a trattenere la gioia, anche perché arrivano altre nipoti, la figlia Silvana, il fratello Giacomo, che ha preso il posto di “Bepi” come sacrista, il figlio Beniamino. Sembra di rivivere i racconti biblici delle tribù d’Israele per i numerosi agganci di Ervino con l’insegnamento religioso dei genitori. Tutti ad ascoltare il nonno che si divide fra Vita Trentina e vicende familiari come le nozze del 1954 con Miriam Bazzanella e poi i figli Stefano, Luciano, Silvana, Enrica e Beniamino.

Racconta di suor Silvana di Pilcante, canossiana, morta durante il bombardamento alleato del Convento di Trento in via Grazioli, sfigurata e riconosciuta da un giovane del posto, arruolato nel Corpo di Sicurezza Trentino (CST) intervenuto a liberare le altre religiose da sotto le macerie; della sorella Leonilda, infermiera caposala di cardiologia all’ospedale Niguarda, morta nel 2001, che ha trascorso gli ultimi 15 anni lavorando in un ospedale in Etiopia. “Adesso ci vedo poco”, esclama nonno Eduino dopo aver dato un’occhiata anche all’ultima pagina del settimanale, passandolo alle nipoti con una raccomandazione: “Ora tocca a voi”.

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