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I decani delle comunità della Vallagarina intervengono nel dibattito sull’ipotesi di trasferimento dei profughi dal campo di Marco. Invita all’accoglienza e lanciano un appello alle proprie comunità, perché sappiano cogliere questa come un’occasione di crescita cristiana. Pubblichiamo la lettera:
Alle comunità della Vallagarina
L’ipotesi di trasferimento dei 90 profughi dal campo della Protezione civile di Marco all’ex asilo della Manifattura di Sacco, e il vivace dibattito che ha interessato molte persone e comunità della Vallagarina, ci ha indotti a fare una riflessione con i responsabili dei quattro decanati di Ala, Mori, Rovereto e Villa Lagarina e a condividere questi pensieri con le nostre popolazioni.
Fin dall’inizio abbiamo espresso i nostri timori che l’addensamento abitativo nel borgo di Sacco creasse malumori e non favorisse una adeguata accoglienza da parte della comunità locale. Abbiamo accolto con favore la notizia di una possibile sistemazione dei profughi in diversi nuclei sparsi in varie comunità della Vallagarina e ci auguriamo che lo sforzo di reperire alloggi trovi adeguate risposte; tale soluzione non esclude tuttavia che nello stabile individuato a Sacco possa comunque alloggiare un gruppo ragionevolmente ridotto di immigrati e che in quella sede abbiano luogo i momenti formativi comuni e i servizi progettati dal Comune di Rovereto in accordo con la Provincia.
Comprendiamo la fatica e le preoccupazioni dei pubblici Amministratori che oggi devono assumere a vari livelli delle responsabilità di fronte a questa emergenza e ci sentiamo coinvolti accanto a loro nel promuovere una integrazione tra i giovani che verranno accolti e le comunità locali.
È nostra viva intenzione attivare nelle comunità dei quattro decanati tutte le risorse possibili perché i profughi si sentano rispettati nella loro dignità, ascoltati nel loro legittimo desiderio di riscatto e di libertà che li ha spinti ad affrontare gli enormi rischi del viaggio, e perché avvertano attorno a sé fiducia, accoglienza e affetto. Le comunità cristiane potranno accompagnare questi fratelli in tanti modi: nella positività delle relazioni, in qualche esperienza di contatto più diretto con le famiglie, nell’incontro di scambio interculturale tra i giovani, ecc.
Siamo prossimi alla solennità del Natale: Dio si è fatto carne per condividere la nostra avventura umana e lo ha fatto scegliendo di stare tra i poveri, provando l’esclusione da parte dei benestanti e sperimentando l’emigrazione a causa della persecuzione di Erode. Che non avvenga quello che Papa Francesco ha denunciato in occasione del suo pellegrinaggio a Lampedusa l’8 luglio dello scorso anno: “La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta alla globalizzazione dell’indifferenza”.
Che non avvenga che, mentre ci illudiamo di accogliere Gesù fatto Bambino nel presepio di Betlemme, ci rifiutiamo di accogliere il Signore che con il volto dei profughi bussa alle porte del nostro cuore e delle nostre case!
Questa emergenza ci pone come cristiani davanti alla responsabilità di prenderci cura dei fratelli. Confidiamo che possa divenire un’occasione di crescita delle nostre comunità nella direzione dell’accoglienza e della solidarietà.
Rovereto, 14 dicembre 2014
Giornata diocesana della Carità
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