Conciliare famiglia e lavoro? Si può. Le storie di chi ci ha provato anticipano il tema del Festival della Famiglia, in programma il 5 dicembre, tra questione di genere e benessere sociale
Quando si parla di conciliazione famiglia-lavoro si pensa subito alle donne; ad una mamma con un figlio per mano, la borsa della spesa nell’altra e il telefonino in bilico tra la spalla e l’orecchio mentre cerca di comunicare con l’ufficio. Ma il tema della conciliazione tra i tempi di vita e il lavoro riguarda anche il genere maschile, e non soltanto per la possibilità di prendersi il congedo di paternità quando nasce un figlio.
Piero, dipendente della Provincia autonoma di Trento, era convinto che lavorando da casa avrebbe migliorato il rapporto con i due figli, 5 e 7 anni, la gestione della vita casalinga e anche la sua soddisfazione professionale; quando si è presentata la possibilità, nonostante il clima in ufficio fosse ottimo, Piero ha optato per il cambio di contratto. Con il telelavoro il trantran quotidiano, a suo avviso, non è cambiato. Ma è cambiata molto la qualità di vita: più tempo per i figli, meno auto per recarsi al lavoro (dove comunque torna almeno una volta in settimana), più concentrazione sull’attività lavorativa grazie alla tranquillità del paese di montagna dove abita.
Quella di Piero è una delle dieci storie raccontate nel libro “Figli e lavoro si può”, che sarà presentato giovedì 4 (alle ore 10 allo SmartLab di Rovereto, in viale Trento 47/49) nell’ambito del pre-Festival della Famiglia. Il piccolo volume, curato dalla giornalista Adele Gerardi, parla delle buone pratiche adottate in Provincia di Trento per favorire la conciliazione tra vita e lavoro, attraverso la narrazione di 10 storie di vita di “successo”.
Ecco Laura, dipendente della Comunità della val di Non, che, da single, non avrebbe potuto accettare l’affido inaspettato di un bambino di 8 anni senza la sicurezza di poter contare su una serie di misure (part-time, congedo parentale estivo e voucher di servizio) che le hanno permesso di armonizzare il lavoro con le nuove esigenze, passando più tempo con il bambino per accompagnare l’inserimento nel suo “nuovo mondo” e costruire con lui un legame di fiducia. Carla, invece, si è avvalsa del Registro Co-Manager, uno strumento forse poco conosciuto che le ha permesso di trovare una sostituta temporanea per la sua impresa commerciale, evitando così di dover affidare il figlio appena nato e il fratellino di due anni e mezzo ad una baby-sitter per molte ore al giorno o, peggio, di dover chiudere l’attività. Valeria, dipendente dell’Azienda provinciale per i servizi sanitari, si sentiva insoddisfatta e frustrata al rientro al lavoro a tempo ridotto dopo l’adozione del suo bimbo nepalese; dopo aver provato a riprendere l’orario normale, non senza affanni, ha mantenuto il tempo pieno affiancando alle ore in ufficio il telelavoro, che le permette di organizzare al meglio le sue giornate alzandosi molto presto, alle 5, e lavorando da casa nelle prime ore del mattino, “guadagnando” così buona parte della giornata per dedicarla alla famiglia.
Sono storie di donne, perlopiù. Al di là dell’immagine stereotipata della mamma in carriera tra figlio, spesa e telefonino, sono molto spesso le donne a dover riorganizzare i propri tempi di vita nel momento in cui intervengono nuove esigenze che scardinano l’equilibrio famigliare (la nascita di un figlio, la malattia di un familiare, un infortunio…): anche questa scelta forzata tra lavoro e famiglia – senza arrivare a casi estremi come mobbing, mancato rinnovo del contratto o demansionamento di ruolo – è una prima forma di discriminazione. Un diritto negato: il “diritto a non dover scegliere”.
I protagonisti del libro “collettivo” incoraggiano a pensare che sia possibile ridisegnare un equilibrio tra gli impegni di lavoro e i carichi familiari: ognuno deve trovare la propria personale formula. Nel libro vengono intervistati anche i datori di lavoro, che certo sono coinvolti nel cambio di mentalità aziendale: l’opinione condivisa è che più il dipendente è soddisfatto della qualità della sua vita, migliore sarà la sua prestazione lavorativa. Così, accanto al benessere familiare, cresce anche il benessere aziendale.
Dalla flessibilità oraria alla possibilità di lavorare da casa qualche giorno, dalle banche del tempo agli asili nido di Comunità, il Trentino presenta, da alcuni anni, un innovativo contesto di strumenti normativi che promuovono la conciliazione dell’attività lavorativa e degli impegni familiari: l’obiettivo non è solo raggiungere una pari opportunità lavorativa tra uomini e donne, ma favorire la condivisione dei compiti di cura e delle responsabilità familiari, verso un ripensamento dei ruoli e un riconoscimento condiviso del valore sociale ed economico della cura familiare. Non solo: gli strumenti a supporto della conciliazione creeranno opportunità di sviluppo territoriale, sosterranno i livelli di occupazione femminile, i tassi di natalità, il benessere delle famiglie ma nel contempo anche la produttività aziendale e la crescita economica.
Per la politica, si tratta di creare un “ecosistema” della conciliazione vita-lavoro, in una visione complessiva che cerca di raccordare i servizi pubblici e privati esistenti sul territorio con le aspettative delle imprese e delle famiglie. Non è più sufficiente ricondurre le politiche della conciliazione alle sole politiche del lavoro e/o delle pari opportunità, ma occorre collocarle in un’azione più ampia che coinvolge potenzialmente l’insieme di tutte le politiche a livello territoriale; diventa allora necessario il lavoro di rete (istituzioni, aziende, famiglie e territorio), secondo il principio della sussidiarietà orizzontale e verticale, sfruttando le grandi potenzialità delle nuove tecnologie.
Sono queste le tematiche che saranno affrontate al Festival della famiglia del prossimo 5 dicembre (per il programma dettagliato si veda il riquadro a lato) in una riflessione che, guardando al Trentino come laboratorio di innovazione, interpella la politica nazionale.
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