La vita dei “meninos de rua” raccontata da Nadia Robol

I bambini della scuola Paolo VI durante una festa di compleanno
“Miseria, fame, delinquenza, omicidi, droga si contano in abbondanza, ma prima di farsi fotografare i bambini corrono a pettinarsi, si mettono in posa e poi mi dicono di portare la foto in Italia. Ci tengono tantissimo”. Nadia Robol, da dodici anni presidente dell’associazione trentina “Meninos de Rua”, divenuta onlus nel 2007, nelle sue trasferte a Salvador de Bahia in Brasile ha imparato molto sui poveri, sulla loro dignità da salvaguardare e sulla loro gioia, nonostante tutto.

L’associazione roveretana promuove adozioni a distanza (prima di singoli, ora pian piano di classi intere) e di progetti di sviluppo in favore del centro educativo “Paolo VI”, nel Bairo Valéria. La missione gestita dalle suore Ancelle di Gesù Bambino, con casa madre a Venezia, accoglie 165 bambini di strada, offrendo loro durante l’intera giornata la possibilità di studiare, giocare, mangiare, lavarsi e di apprendere una formazione, che altrimenti non hanno. Troppo dura la vita nelle favelas, con famiglie disastrate, dove non c’è nulla se non disperazione.

“Alcuni di loro, quando vengono accolti dalle suore, non sanno nemmeno la loro età, magari girovagano senza meta tutto il giorno”, prosegue Nadia, sostenuta in questa attività dal marito. “Non sanno leggere e scrivere, alcuni hanno difficoltà pure nelle attività manuali più semplici, come coordinare occhi e mano nel taglio con le forbici”. Il quartiere di Valéria conta più di 100 mila persone, la scuola delle Ancelle, sostenuta da altre due associazioni di cui una milanese, è un’autentica oasi per questi piccoli, rispettata persino dalla locale malavita, che la ritiene “il bene”.

Qui trovano rifugio a partire dalla scuola materna, poi seguono l’alfabetizzazione, il doposcuola e tutte le classi dell’obbligo. Si aggiungono i corsi, tra cui musicali e di formazione per lavori di artigianato. “La scuola è aperta da lunedì al sabato, e qualcuno supplica le suore di poterci andare anche la domenica”, aggiunge la presidente mentre ci racconta le numerose esperienze vissute. “Sono orgogliosi di sapere che qualcuno pensa a loro anche se a distanza e l’adozione dell’intera classe, su suggerimento delle suore, si è resa necessaria per evitare discriminazioni tra chi veniva adottato e chi no”.

Gioiscono per un palloncino colorato, per un ovetto o per un abitino nuovo. “Sono molto umili e senza pretese”, racconta ancora. E poi l’apprendimento dei valori religiosi e della solidarietà. “Chi ce l’ha fatta e magari ha la fortuna di lavorare presso la scuola, come cuoco o altro, in parte viene retribuito ma alcune ore le offre gratuitamente per aiutare altri bambini”, conclude Nadia che sottolinea anche la delicatezza delle religiose: “Il vostro aiuto come associazione, ci dicono, è prezioso, ma non siete obbligati a continuare oltre le vostre forze, la carità è anche accorgersi del vicino di casa”.

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