Il presidente Napolitano si è assunto ancora una volta l’incarico di raffreddare gli animi, smentendo sue dimissioni a breve
Renzi non ha più possibilità di rimandare il confronto con la schiera, temiamo abbastanza vasta, degli oppositori che lo attendono al varco. Ha incassato l’approvazione della legge di stabilità, ma non era un passaggio difficile: nessuno poteva accollarsi il rischio di presentarsi al paese come quello che in un momento di difficoltà butta l’Italia in pasto all’esercizio finanziario provvisorio (lo si sarebbe pagato con una impennata dello spread, per dire la cosa minore). Probabilmente col voto di fiducia al Senato incasserà anche il passaggio della riforma del lavoro. Anche in questo caso nessuno ha veramente voglia di far cadere il governo, con una mossa che quasi certamente porterebbe, vista la attuale congiuntura, ad uno scioglimento anticipato delle Camere (cosa che può interessare qualche sfascista, ma anche qui moderatamente, perché di questi tempi pochi hanno la garanzia di essere rieletti).
La partita si giocherà invece sull’intreccio, certo non molto virtuoso, fra legge elettorale, riforma del senato ed elezione del successore di Napolitano. Come i lettori sanno è sull’ultimo passaggio che puntano tutti quelli che vogliono indebolire Renzi. In questo campo c’è una lunga tradizione, perché di rado il parlamento consente al presidente del Consiglio di scegliersi un inquilino del Quirinale. Non lo concesse a De Gasperi e non lo concesse a Fanfani. Lo concesse, sia pure con enorme fatica, a Moro con l’elezione di Segni, ma non si può dire sia stata una scelta felice.
Berlusconi ha provveduto a buttarsi subito in campo, anche se non è chiaro perché l’abbia fatto, se perché ha perso lucidità e non è più in grado di calcolare i tempi (la mossa infatti è stata affrettata ed è servita solo a sentirsi dire che non deve pensare di poter condizionare l’operazione), oppure perché al momento gli interessa soltanto intorbidare le acque (come ha fatto bruciando prontamente la candidatura di Giuliano Amato). Il presidente Napolitano si è invece assunto ancora una volta l’incarico di raffreddare gli animi, provvedendo a smentire sue dimissioni a breve (circolava l’ipotesi che dovesse affrettarle per ragioni di salute) ed anzi ribadendo che avrebbe calcolato lui il momento opportuno per il grande passo (il che significa che, a meno di cause di forza maggiore, non lascerà se non vede degli spiragli di gestione non traumatica della sua successione).
Renzi ha chiarito subito che non è disposto a posporre la riforma elettorale e quella del senato al tornante dell’elezione presidenziale, perché sa benissimo che a seconda di come sarà superato quello scoglio si ridisegneranno le alleanze occulte in parlamento e potrebbe trovarsi in posizione difficile. Tuttavia per la riforma elettorale il passaggio non è semplice, perché la legge è al senato dove la sua maggioranza è più debole e dove sa che non c’è molta convinzione sullo schema che è in discussione. Troppi hanno da eccepire su questo o quel punto del disegno di legge. Nella convinzione che l’ostacolo principale sia il timore di uno scioglimento anticipato della legislatura, Renzi ha offerto l’introduzione di una clausola di garanzia: non si potrà usare quella legge prima del gennaio 2016, il che significa che prima di quella data in caso di scioglimento anticipato si voterebbe colla normativa proporzionalista e difficilmente gestibile disegnata dalla sentenza della Consulta (e sa che ben pochi amano il rischio di una consultazione con un sistema simile e in presenza di un astensionismo che non pare calante).
Tuttavia in tutti i partiti la paura, come si dice, fa novanta e dunque trovare un meccanismo che piaccia davvero ad una classe politica spaventata non sarà facile. Dunque si torna alla partita del Quirinale, complicata dalla crisi interna al M5S che fa sperare molti che si possa giocare di sponda con quell’universo sempre magmatico e sfuggente. Il fatto è che ormai nessuno sa più a che gioco si voglia giocare, se non a quello di testare la tenuta della leadership di Renzi. Ciò è pessima premessa per individuare quella figura di “grande timoniere” di cui c’è assoluto bisogno perché continui l’opera di salvaguardia degli equilibri politici e sociali che Napolitano ha cercato di garantire davvero fino al limite delle sue forze.
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