Inizia così il racconto inedito di Guido Vettorazzo, reduce dalla Russia, che ha portato spesso sue testimonianze sulla tragicità della guerra. Furono i bombardamenti di Trento ad indurre Rovereto a prendere misure preventive con la costruzione di rifugi: per quanto riguarda quelli privati, si trattava di rinforzarli, puntellando la volta a botte o le pareti con robusti tronchi o tavole di legno, ai cui piedi venivano fissate delle panche per sedersi o dormire. “Erano sicuri ma senza finestre e uscita di sicurezza”, prosegue Vettorazzo. “In caso di crollo c’era il rischio di restare intrappolati in attesa di soccorso”.
Nel caso dei rifugi pubblici, invece, per far saltare le rocce era necessario parecchio esplosivo, materiale all’epoca assai raro, anche “perché i tedeschi ne fornivano poco e in maniera problematica e saltuaria”. L’architetto Germano Veronesi, fratello del più noto Giuseppe sindaco di Rovereto negli anni del dopoguerra, chiese, forse in qualità di consulente del comune, aiuto a Vettorazzo. Sul finire del ’44, l’ex docente di disegno era occupato a Pilcante d’Ala presso la ditta “Zanetti”.
Quando gli aerei provenienti da est, per colpire il ponte o la stazione, sbagliavano la gittata delle bombe, queste precipitavano su un vasto costone roccioso, scosceso sulla destra dell’Adige lungo la strada che da Pilcante conduce ad Avio. Vettorazzo le vedeva cadere e si recava sul posto a rifornirsi di tritolo, che estraeva da qualche bomba inesplosa, squarciata dall’urto. Lo prelevava con uno scalpello di legno avendo la consistenza simile al formaggio grana, e poi lo nascondeva in un sacco dentro lo zaino.
Ne aveva provvidenzialmente raccolti già quaranta chili, che teneva sotto il letto, ancor prima di ricevere l’incarico. Alla fine riuscì a rifornire l’ufficio tecnico di circa un quintale e mezzo di tritolo, che consegnava via via ai nostri vigili del fuoco con cui era in amicizia da tempo.
Lascia una recensione