“Sarà un momento forte!”

“Le Unità pastorali possono aiutarci a mettere in atto il Vaticano II”. Temi cruciali? Le dimensioni, i beni, la tradizione

Ha girato in largo e in lungo il Trentino in questi anni – assieme ai collaboratori del centro diocesano – per proporre (“mai imporre”, precisa) le Unità pastorali, accompagnarne la nascita e lo sviluppo. Mons. Lauro Tisi è stato chiamato a “raccontare” questo lavoro paziente anche in altre diocesi (quella di Brescia, in particolare, che ha dedicato un vero e proprio Sinodo alle Unità pastorali), evidenziandone passi avanti e anche inevitabili ritardi.

Guardiamo oltre il sagrato, don Lauro. Come spiegherebbe ad un passante a che cosa serve un’Unità pastorale?

E' il tentativo di mettere in rete delle comunità, le quali si muovono sulle spalle dei laici. Dunque, comunità che sono tali non perché hanno a disposizione il prete (oppure no), ma perché si fondano sulla convinzione di cristiani battezzati che vivono l'esperienza della fede. Ci vedo un'oppportunità di comprendere che la Chiesa non è legata al ruolo del presbitero, ma alla forza dei cristiani battezzati che – vivendo il Vangelo – la rendono presente. Finalmente allora possiamo vedere in atto quanto detto dal Vaticano II.

Ogni comunità è diversa dalle altre, molti (vedi pag. 25) chiedono come lei flessibilità. Ma il rispetto della specificità – temono altri – può diventare anarchia o spontaneismo…

Non si tratta di dare regolamenti precisi per tutto l'agire ecclesiale, ma dare dei criteri ispiratori grandi: la comunità che deve generare la fede reggendosi sulla realtà della comunione. Non si tratta solo di gestire l'apparato religioso, ma diventare comunità snelle che vivono forte l'esperienza della fede.

In questi dieci anni, quale aspetto di maggior criticità che vorrebbe venisse “risolto” da questo confronto?

Talvolta in qualche Unità la presenza di una grossa comunità presenta difficoltà di collaborazione rispetto a quelle più piccole che rischiano di essere soffocate dalle esigenze della realtà grande. Più le Unità pastorali sono omogenee, meglio è.

Altro elemento è la necessità di svincolarsi dalla preoccupazione celebrativa sacramentale: s'innescano su questo terreno tensioni a mio avviso banali, ma che bisogna aver la pazienza di far maturare: non è necessaria che la celebrazione avvenga come si è sempre fatto, con tutti i crismi della tradizione.

Un argomento particolare è dato dai beni ecclesiali, qualcuno ritiene che ci vorrebbe maggior condivisione reale?

Sul piano giuridico e patrimoniale ogni parrocchia resta ente a sé. E' un bene – dico io – perchè nella fatica di costruire collaborazioni questo è un nervo scoperto, un terreno in cui rischiamo di andare a impantanarci e scontrarci inutilmente

Vedo invece crescere due modalità positive. La modalità del prestito di una struttura che la parrocchia “ricca” fa all'altra, e la diocesi a fare garanzia. L'altro riguarda le canoniche: dopo aver individuato il luogo in cui abita il parroco, le altre case canoniche diventano strutture a servizio di tutta la comunità.

Le Unità in città, finora non ce ne sono da “copiare”. Ci vorrà un modello tutto nuovo…

E' un problema aperto. Dobbiamo introdurre criteri e modalità che non possono essere quelle della periferia. Sì, è capitolo tutto da inventare, ci vorrà del tempo.

E il rapporto di fraternità sacerdotale?

L'Unità pastorale è nata per rispondere al venire meno dei sacerdoti – io dico anche dei fedeli, in verità – ma in alcuni casi abbiamo collaboratori anziani molto preziosi. A loro è importante chiedere quello che in quel momento possono dare, sapendo però che le loro forze da un anno all'altro possono venir meno. E allora deve imporsi un ripensamento e un aggiornamento.

Cosa si attende personalmente da questa due giorni?

Aldilà della modalità pratica abbiamo cercato con l'ottimo lavoro del gruppo di segreteria di esprimere la volontà che diventi un momento forte in cui la Chiesa di Trento possa esprimersi in maniera unitaria per fornire al cammino delle Unità una serenità di lavoro e alcuni punti forti di riferimento.

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